Quali sono le conseguenze di un'isterectomia e come funziona
PUBBLICATO IL 01 OTTOBRE 2024
L’isterectomia è ancora oggi l’intervento più praticato in ambito ginecologico e consiste nell’asportazione dell’utero e delle salpingi. In alcuni casi, a seconda del tipo di patologia e dell’età della paziente, è prevista anche l’asportazione delle ovaie.
Circa il 90% delle isterectomie sono indicate per patologie benigne per le quali la terapia medica non è risultata efficace o controindicata oppure rifiutata dalla paziente.
Il prof. Massimo Candiani, direttore dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia e Medicina della Riproduzione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ci spiega nel dettaglio in cosa consiste l’isterectomia, quali sono le cause che rendono necessario l’intervento chirurgico e le principali conseguenze dell’isterectomia.
Cos’è l’isterectomia e in cosa consiste
“L’isterectomia è l’intervento che viene maggiormente effettuato in ambito ginecologico con percentuali ancora estremamente elevate, nonostante negli ultimi decenni siano stati fatti grandi passi in avanti con le terapie mediche - come spiega il prof. Candiani -. Infatti, sono state sviluppate diverse terapie come l’utilizzo di nuovi farmaci, spirali o tecniche chirurgiche conservative che permettono, in molti casi, di non dover ricorrere all’isterectomia”.
Nel dettaglio, l’isterectomia consiste nell’asportazione dell’utero e delle salpingi (tube uterine) e può essere accompagnata, in alcuni casi, dall’asportazione consensuale delle ovaie, a seconda del tipo di patologia trattata e dell’età della paziente.
Le tube vengono asportate consensualmente. Infatti, in base a recenti teorie, il tumore ovarico sembra prendere origine dalla tuba. Pertanto, l’azione preventiva della salpingectomia, ovvero di rimuovere le tube durante l’isterectomia, dovrebbe permettere di ridurre il rischio di sviluppare un tumore ovarico negli anni a seguire.
Dalla isterectomia parziale alla isterectomia totale
Come spiega lo specialista: “In precedenza, si distingueva tra:
- isterectomia totale;
- isterectomia subtotale o parziale (asportazione del corpo dell’utero, lasciando la cervice o collo dell’utero).
L’isterectomia subtotale o parziale era praticata prevalentemente fino agli anni ’60-‘70, quando l’intervento chirurgico di isterectomia totale, per difficoltà legate alla standardizzazione della tecnica e alla strumentazione, comportava maggiori tassi di complicanze se si procedeva sistematicamente con l’asportazione totale dell’utero.
Però, col tempo, alcuni fattori hanno condotto al progressivo abbandono della tecnica di isterectomia subtotale, tra cui:
- l’evoluzione delle tecniche chirurgiche;
- la dimostrazione che non rimuovere il collo dell’utero implicava periodici controlli di screening per la paziente (pap test ed eventuale colposcopia) per la prevenzione del tumore del collo dell’utero;
- l’assenza di vantaggi di natura funzionale in caso di problemi come il prolasso della vescica, dolore ai rapporti sessuali, etc)”.
Pertanto, salvo situazioni estremamente rare e/o difficoltà tecnico-chirurgiche che impediscano l’asportazione completa dell’utero, oggi quando si propone un’isterectomia si parla di isterectomia totale.
Quando ricorrere all’isterectomia
Tra le principali cause dell’intervento di isterectomia si trovano le patologie oncologiche.
“In situazioni nelle quali, una donna affetta da tumore in epoca fertile desideri avere una gravidanza, in base alla tipologia dei tumori, è talvolta possibile proporre un intervento conservativo - specifica lo specialista -.
Tuttavia, negli altri casi in cui la donna presenta un utero affetto da alcuni tipi istologici o estensione del tumore del collo dell’utero, dell’endometrio e del corpo dell’utero, l’intervento di isterectomia totale risulta mandatorio per curare la patologia.
Ci sono anche altre patologie che arrecano una sintomatologia invalidante per la paziente che solo con l’intervento possono essere risolti. In queste circostanze, la rimozione dell’organo ha effetti positivi su tutti questi sintomi.
Il motivo più frequente per cui si ricorre a un’isterectomia è la presenza di fibromi uterini, soprattutto in donne tra i 40 e i 50 anni. I sintomi correlati sono estremamente diversi: alcune donne riescono a convivere con i fibromi senza particolari sintomi, altre invece subiscono conseguenze che ne compromettono la qualità di vita”.
Le altre condizioni che possono porre indicazione all’isterectomia sono:
- prolasso del viscere uterino;
- patologie come l’adenomiosi che causa cicli molto abbondanti;
- dolore mestruale molto intenso, non responsivo alla terapia medica;
- dolore nei rapporti, nonostante la terapia medica;
- dolore pelvico, addominale, lombare conseguente all’attività fisica;
- il sanguinamento a carattere emorragico;
- la sensazione di peso gravativo nell’addome.
Per tali condizioni, è importante rivolgersi al ginecologo per la valutazione del singolo caso.
Come si svolge l’intervento di isterectomia
A seconda delle caratteristiche dell’utero, della paziente e di altri elementi come le precedenti gravidanze o interventi addominali, oggi si può ricorrere a diverse tipologie di tecniche chirurgiche:
- chirurgia laparoscopica: sono interventi mininvasivi, i più frequenti, che vengono effettuati attraverso piccole incisioni addominali e l’utero estratto dalla vagina;
- chirurgia laparotomica: accesso addominale tradizionale con incisione cutanea trasversale o longitudinale;
- chirurgia vaginale: in presenza di situazioni chirurgiche particolari; è meno invasiva rispetto alla chirurgia laparoscopica;
- mix tra chirurgia vaginale ed endoscopica: introdotta recentemente, è una variante della chirurgia vaginale: si esegue un’isterectomia vaginale utilizzando strumenti laparoscopici e una telecamera per via vaginale (non dall’addome o dall’ombelico). Questa tecnica permette di superare alcuni limiti della chirurgia vaginale e laparoscopica consentendo l’approccio meno invasivo possibile.
Il recupero post intervento
“Grazie all’introduzione delle tecniche di chirurgia endoscopica, negli ultimi 20 anni, i tempi di recupero post-operatori si sono molto ridotti - afferma l’esperto -. Precedentemente, un intervento di isterectomia addominale richiedeva dai 7 ai 10 giorni di ricovero ospedaliero, con rischi di infezione della ferita elevati, decorsi operatori frequentemente complicati da stati febbrili o formazione di piccoli ascessi.
Oggi, queste complicazioni post-chirurgiche si sono significativamente ridotte e i ricoveri ospedalieri sono dell’ordine di 2-3 giorni. Addirittura, dopo chirurgia vaginale, la dimissione avviene mediamente il giorno successivo, ma sarebbe ipotizzabile anche il giorno stesso dell’intervento, come accade in alcuni paesi nord-americani ed europei”.
Le conseguenze di un’isterectomia
Gli effetti dell’isterectomia sono generalmente solo benefici. La vera conseguenza principale dell’isterectomia è il fatto di non poter avere ulteriori gravidanze. Ma questo ha un impatto dal punto di vista psicologico soprattutto se si parla di una donna che per qualche motivo non è mai riuscita ad avere gravidanze nella sua vita e che, comprensibilmente, identifica nell’utero un organo del quale non vuole privarsi.
“L’asportazione dell’utero - prosegue - non implica andare in menopausa, ma il non poter avere altre gravidanze. Questo perché la menopausa è invece subordinata alla funzione ormonale espletata dalle ovaie; se le ovaie non vengono asportate, permane la funzione ormonale e la paziente andrà in menopausa solo quando le ovaie smetteranno di produrre gli ormoni”.
Isterectomia e mestruazioni
“In seguito all’isterectomia, la donna non potrà avere il ciclo mestruale perché l’utero è stato asportato, ma continuerà ad avere il ciclo ovarico. È vero che la menopausa si associa alla mancanza della mestruazione, ma, in questo caso, quest’ultima è la conseguenza dell’esaurimento della funzionalità ovarica. In sintesi, l’isterectomia comporta l’assenza delle mestruazioni, ma non l’esaurimento della funzionalità ovarica”.
È sbagliato pensare che, dopo l’intervento, nella donna si crei uno spazio vuoto all’interno dell’addome. L’utero normalmente ha dimensioni di 6-8 centimetri ed è completamente sovrastato dalle anse intestinali, dalla vescica e dal contatto con il retto. Perciò, è immerso a livello pelvico insieme a tanti altri organi. Una volta rimosso, automaticamente gli altri organi vanno a ricoprire quel piccolo spazio lasciato libero.
h3: Isterectomia e prolasso: sono correlati?
“Nel 90% dei casi il prolasso si sviluppa quando c’è l’utero, in tempi variabili da determinati eventi ostetrici. L’isterectomia non favorisce il prolasso della vagina - conclude il Prof. Candiani -.
Tutte le tecniche di isterectomia descritte prevedono contestualmente all’intervento chirurgico la sospensione preventiva della vagina. La probabilità, dunque, che in seguito a un intervento di asportazione dell’utero possa successivamente prolassare la vagina o la vescica è estremamente bassa e non conseguente all’isterectomia”.