La forma autosomica dominante del rene policistico e la ricerca di nuove terapie

La forma autosomica dominante del rene policistico e la ricerca di nuove terapie

PUBBLICATO IL 13 MARZO 2025

La forma autosomica dominante del rene policistico e la ricerca di nuove terapie

PUBBLICATO IL 13 MARZO 2025

La malattia policistica renale o rene policistico è una patologia che colpisce i reni, gli organi che filtrano il sangue depurandolo delle sostanze di rifiuto, producono l’urina, tengono sotto controllo la pressione e, in generale, mantengono l’equilibrio idrosalino del corpo. 

Esistono 2 forme della malattia policistica renale: la forma autosomica dominante, che è una delle malattie genetiche più frequenti e colpisce 1 persona su 400-1.000, e la forma autosomica recessiva, che è molto più rara. 

In occasione della Giornata Mondiale del Rene, abbiamo intervistato la dottoressa Alessandra Boletta, group leader dell’Unità sui Disordini Cistici Renali presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, a proposito della forma autosomica dominante del rene policistico e i suoi possibili trattamenti.

 

Il rene policistico nella forma autosomica dominante e il metabolismo cellulare

Nella forma autosomica dominante del rene policistico, le cellule dei tubuli renali, dove viene prodotta l’urina, proliferano fino a formare delle cisti, cioè delle sfere ripiene di liquido. 

La malattia autosomica dominante è causata da mutazioni nei geni PKD1 e PKD2: un genitore malato, che porta la mutazione, ha 1 probabilità su 2 di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli, per questo si parla di rene policistico “autosomico dominante”. 

I geni PKD1 e PKD2 forniscono alle cellule le istruzioni per sintetizzare le policistine. Queste sono proteine normalmente coinvolte nel regolare la morfologia delle cellule e mantenere un corretto diametro del tubulo renale. In particolare, le policistine si trovano in un organello cellulare chiamato ciglio primario.

Il ciglio primario somiglia a un’antenna posta sulla superficie di numerosi tipi di cellule, inclusi i neuroni, le cellule dei vasi sanguigni e le cellule del tubulo renale. Una delle prime descrizioni del ciglio primario nelle cellule dei mammiferi risale al 1898 per opera dell’anatomista tedesco Karl Wilhelm Zimmermann, ma le funzioni di questo organello sono tuttora intensamente studiate dai ricercatori.

“Oggi noi pensiamo che il ciglio senta sia stimoli meccanici, come il flusso di liquidi, sia stimoli chimici come molecole messaggere presenti nei fluidi dell’organismo. Ancora non è chiaro, tuttavia, quali conseguenze abbia la funzione sensoriale del ciglio primario all’interno della cellula del tubulo renale. 

In questo contesto, negli ultimi anni il mio laboratorio ha rivelato un legame tra la capacità del ciglio primario di percepire la disponibilità di nutrienti all’esterno della cellula e la regolazione del metabolismo cellulare, cioè l’insieme dei processi che consumano e generano energia”, ci racconta la dottoressa Boletta.

Il gruppo della dottoressa ha, infatti, osservato che il ciglio primario si allunga alla ricerca di nutrienti quando la loro concentrazione nell’ambiente esterno alla cellula è molto ridotta; viceversa, se la disponibilità di nutrienti è aumentata, il ciglio si accorcia. 

Questi cambiamenti nella lunghezza del ciglio sono tradotti in cambiamenti del metabolismo cellulare, coinvolgendo in particolare i mitocondri, gli organelli che producono energia. Il ciglio funzionerebbe come un’antenna che capta le informazioni relative alla disponibilità di energia per trasmetterle, in un modo solo parzialmente compreso, ai mitocondri, regolando così il metabolismo cellulare. 

“Sapevamo già, da precedenti lavori del nostro gruppo, che i mitocondri sono molto alterati nel rene policistico. Questo ci ha motivati a studiare i meccanismi di comunicazione tra il ciglio primario e i mitocondri e quali siano le implicazioni non solo per la singola cellula, ma per l’intero organismo. 

Queste ricerche sono importanti per gettare le basi per trovare nuovi bersagli per il trattamento non solo del rene policistico, ma delle cigliopatie in generale, cioè di tutte quelle malattie in cui le proteine del ciglio primario sono mutate - continua la dottoressa -. In particolare, le cigliopatie renali rappresentano la più frequente causa di malattie genetiche che colpiscono il rene”.

 

Le possibili strategie terapeutiche

Oggi l’unico farmaco approvato per il trattamento della forma autosomica dominante del rene policistico è il tolvaptan, un antagonista del recettore della vasopressina, l’ormone regolatore della sete. 

L’azione inibitoria del tolvaptan riduce la produzione di cAMP, una piccola molecola che stimola la proliferazione delle cellule del tubulo renale, e questo trattamento si traduce quindi in una ridotta proliferazione cellulare e, quindi, una ridotta crescita delle cisti renali.

Nella continua ricerca di nuove strategie di trattamento del rene policistico, il gruppo della dottoressa Boletta sta testando l’utilizzo di un composto chiamato 2-DG per rallentare il metabolismo delle cellule del tubulo renale e quindi la loro proliferazione.

“10 anni fa abbiamo scoperto che il rene policistico utilizza principalmente il glucosio per generare energia in un processo metabolico chiamato glicolisi. L’idea è che se si inibisce o rallenta la glicolisi, allora alla cellula viene a mancare l’energia necessaria per proliferare e questo dovrebbe rallentare la crescita delle cisti renali. 

Abbiamo quindi pensato di rallentare l’utilizzo del glucosio sostituendolo con una molecola chiamata 2-DG. Il 2-DG somiglia al glucosio, ma, al contrario di quest’ultimo, non può essere usato come fonte energetica nella glicolisi”, racconta la dottoressa. 

Questa capacità del 2-DG di rallentare il metabolismo cellulare era stata già testata in passato in altre patologie di origine tumorale. 

“Partendo da precedenti ricerche in ambito oncologico, abbiamo iniziato a considerare il 2-DG per il trattamento del rene policistico. Ed è proprio studiando l’azione del 2-DG che abbiamo capito qualcosa di più sul metabolismo del rene policistico e anche il coinvolgimento del ciglio primario nella sua regolazione”, continua la dottoressa Boletta.

È importante ricordare che, a differenza di un tumore, nel rene policistico le cellule del tubulo renale proliferano molto lentamente e ci vogliono circa 50 anni perché il funzionamento dell’organo sia compromesso. Difatti, negli esseri umani il rene policistico non si trasforma in un tumore maligno del rene

“Questa differenza tra malattia policistica renale e tumore è molto importante e apre a nuove prospettive e domande di ricerca. Per esempio, che cosa possiamo imparare dai meccanismi metabolici alla base di cigliopatie come il rene policistico che possono aiutarci, a loro volta, a capire meglio i meccanismi alla base dei tumori? In che modo studiare una patologia ci aiuta a capire, e quindi a trattare, l’altra? 

La ricerca di base e la ricerca più traslazionale, cioè volta allo sviluppo concreto di terapie, procedono così insieme, influenzandosi l’una con l’altra, per rispondere a questi e altri quesiti”, conclude la dottoressa Boletta.