Terapia intensiva: cos’è e come funziona
PUBBLICATO IL 01 APRILE 2020
L’emergenza COVID-19 ha evidenziato il ruolo delle Terapie Intensive. Gli esperti del San Raffaele, dove sono state create ex-novo delle nuove TI per pazienti COVID, spiegano cosa sono e cosa si fa in questi reparti.
L’Ospedale San Raffaele mette a disposizione ulteriori 10 posti letto di terapia intensiva per i pazienti affetti da COVID-19.
È, infatti, operativa da lunedì 30 anche la seconda area di terapia intensiva adiacente alla TI inaugurata lo scorso 23 marzo.
Ma come funzionano le terapie intensive? Perché il loro ruolo è diventato centrale nell’emergenza sanitaria legata al coronavirus?
Lo spiegano il professor Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare dell’IRCSS Ospedale San Raffaele e il professor Giovanni Landoni, direttore del Centro di Ricerca in Anestesia e Terapia Intensiva che fa parte dell’Unità Operativa diretta da Zangrillo.
Cosa sono le Terapie Intensive
Sebbene siano realtà particolari e poco note, le terapie intensive sono reparti normalmente presenti in quasi tutti gli ospedali.
Sono, infatti, fondamentali per mantenere in vita i pazienti che arrivano in ospedale in situazioni particolarmente critiche e rappresentano presidi di sicurezza che devono essere sempre disponibili in caso di emergenza, anche a fronte delle normali attività chirurgiche.
La complessità del quadro clinico dei pazienti che vengono trattati in questi reparti e la presenza di tecnologie d’avanguardia richiede la presenza di personale sanitario altamente specializzato: un altro dei motivi – insieme al numero limitato di letti e macchinari – per cui l’aumento dei malati di COVID-19 che richiedono il ricovero in terapia intensiva sta mettendo a dura prova il sistema sanitario del Paese.
Quando è necessaria la terapia intensiva e a cosa serve
I motivi per cui è possibile essere ricoverati in un reparto di questo tipo sono diversi: infarti e ictus, interventi chirurgici invasivi o ancora gravi eventi traumatici come gli incidenti stradali e le gravi polmoniti, solo per citarne alcuni.
Lo scopo della terapia intensiva è, infatti, quello di stabilizzare le funzioni vitali dei pazienti gravi – la cui vita è in pericolo immediato – e permettere il successivo trasferimento in reparti meno intensivi, ma specializzati nel trattamento della singola patologia.
Il tutto avviene grazie ad un monitoraggio avanzato del paziente (7 giorni su 7, 24 ore su 24) e all’utilizzo di tecnologie che supportano in primo luogo le funzioni respiratorie e cardiocircolatorie.
Proprio per via dell’unicità delle condizioni dei pazienti che ne hanno bisogno, il numero dei letti di terapia intensiva è sempre molto ridotto rispetto ai letti di degenza ordinaria.
E questo nonostante spesso, per consentire al malato di riprendersi, siano necessari tempi lunghi - da diversi giorni a qualche settimana - proprio come avviene per tanti pazienti COVID-19.
COVID-19 e l’emergenza posti letto in Terapia Intensiva
“È facile intuire come sia possibile, a fronte di un afflusso anomalo di pazienti, saturare rapidamente le capacità delle terapie intensive anche di una regione ad altissima efficienza e qualità del sistema sanitario come la Lombardia - afferma il professor Alberto Zangrillo -.
L’epidemia di COVID-19 sta facendo esattamente questo: non abbiamo mai visto un così grande numero di pazienti avere bisogno di assistenza respiratoria in una finestra di tempo così ridotta”.
Perché è necessaria la Terapia Intensiva per COVID-19
Una delle caratteristiche principali di questa pandemia si riscontra nella percentuale drammaticamente alta di pazienti che vanno in insufficienza respiratoria e hanno bisogno della terapia intensiva per sopravvivere.
L'infezione causata dal nuovo coronavirus infatti provoca nel 10% dei casi una grave polmonite interstiziale bilaterale, con possibile sviluppo di Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (ARDS).
“Questa patologia compromette a tal punto i polmoni che le persone non riescono più a respirare autonomamente e diventa necessario l’utilizzo di una macchina che sostituisca la funzione dei polmoni stessi, mettendoli a riposo”, approfondisce il professor Giovanni Landoni.
“Rispetto alla polmonite batterica, che può essere trattata con specifici antibiotici, COVID-19 è di origine virale e al momento le uniche armi che abbiamo a disposizione sono terapie farmacologiche sperimentali, per le quali è appena partito uno studio osservazionale presso il nostro ospedale”.
Aggiunge Zangrillo:“Quella che stiamo fronteggiando oggi è una patologia molto insidiosa, anche perché richiede tanto tempo al paziente per guarire, si parla di settimane.
Durante questa finestra di tempo è nostro compito monitorare strettamente e sostenere anche la funzione degli altri organi, in modo che non si deteriorino”.
Cos’è la ventilazione artificiale e come funziona
I ventilatori artificiali sono dispositivi salvavita progettati per integrare o sostituire del tutto la naturale attività dei muscoli legati alla respirazione (diaframma e intercostali), garantendo la corretta ossigenazione del sangue e proteggendo i polmoni.
Può accadere che la ventilazione non raggiunga livelli di ossigenazione accettabili e che si rendono necessari ulteriori accorgimenti come, ad esempio, la pronazione: come si è visto in alcuni servizi giornalistici recenti, i pazienti vengono posizionati “a pancia in giù” e ventilati in questa posizione per cercare di reclutare zone del polmone precedentemente non ventilate.
Qual è la differenza tra terapia intensiva e terapia sub intensiva
Per i pazienti meno critici, ma che necessitano comunque di un costante monitoraggio, il supporto delle funzioni vitali può avvenire anche all’interno delle cosiddette terapie sub-intensive, tramite macchinari meno invasivi.
Tra questi ci sono le maschere per la ventilazione non invasiva e i caschi respiratori per la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure): caschi collegati a una macchina per la ventilazione, in cui aria e ossigeno sono presenti con una pressione maggiore di quella atmosferica per aiutare gli alveoli polmonari a lavorare meglio.
“Al San Raffaele stiamo studiando il beneficio di questi supporti meno invasivi nelle fasi precoci della malattia.
I primi dati sembrano suggerire che il loro impiego precoce potrebbe agire in modo preventivo e prevenire la progressione della malattia.
Se fosse così potremmo alleggerire la pressione sui reparti di terapia intensiva veri e propri, già al massimo della loro capacità”, conclude Landoni.