
Tumore della tiroide: cosa fare in caso di diagnosi positiva
PUBBLICATO IL 22 SETTEMBRE 2025
I tumori della tiroide sono i più comuni tra quelli che colpiscono il sistema endocrino. Ogni anno si registrano circa 6,7 nuovi casi ogni 100.000 abitanti.
Questi tumori sono più frequenti nelle donne, tanto che in Italia rappresentano il 5° tipo di tumore più diffuso nel sesso femminile. L’età media in cui viene fatta la diagnosi è intorno ai 46 anni, con un picco tra i 45 e i 49 anni nelle donne e tra i 65 e i 69 anni negli uomini.
È vero che i tumori della tiroide stanno diventando sempre più frequenti? Quali possibilità terapeutiche ci sono? Ce ne parla il dottor Riccardo Maggiore, Responsabile dell’Unità Funzionale di Chirurgia Endocrina dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, diretta dal Prof. Riccardo Rosati.
Incidenza dei tumori della tiroide: perché i casi sono in aumento?
“Negli ultimi decenni, si è registrato un aumento nell’incidenza dei tumori della tiroide, in particolare di quelli ‘differenziati’, che sono i più frequenti.
Una delle ragioni principali di questo aumento è il miglioramento delle tecniche diagnostiche - spiega il dott. Maggiore -. Sempre più spesso, piccoli noduli tiroidei vengono scoperti per caso durante esami come ecografie, TC o risonanze magnetiche eseguiti per altri motivi. Questo ha portato a un incremento delle diagnosi, anche di tumori molto piccoli e poco aggressivi.
Infatti, nella maggior parte dei casi si tratta di forme a crescita lenta, con una mortalità a 10 anni molto bassa (circa 0,5%). Nonostante l’aumento dei casi, il numero di decessi è rimasto stabile.
Alcuni studi, però, ipotizzano che ci sia anche un reale incremento nell’incidenza di questo tipo di tumori, legato a fattori ambientali come l’esposizione a radiazioni o a sostanze chimiche che interferiscono con il sistema endocrino”.
Cosa fare quando ci si trova davanti alla diagnosi di un nodulo tiroideo
Scoprire di avere un nodulo alla tiroide può generare preoccupazione, ma è importante sapere che nella maggior parte dei casi si tratta di formazioni benigne. I noduli tiroidei sono molto comuni, soprattutto nelle donne, e spesso vengono scoperti in modo casuale durante esami effettuati per altri motivi.
“Il primo passo da fare, dopo la diagnosi, è rivolgersi a uno specialista in endocrinologia - continua -. Sarà lui a valutare il tipo di nodulo, le sue dimensioni e la presenza di eventuali sintomi.
In base a queste valutazioni potrà richiedere eventuali approfondimenti. Tra gli esami principali che vengono richiesti ci sono:
- ecografia tiroidea: rappresenta sicuramente il gold standard nella diagnostica dei noduli tiroidei. Essendo un esame operatore dipendente (ciò significa che l’accuratezza dell’esame dipende molto dall’operatore che lo esegue), è importante che venga effettuato da ecografisti o endocrinologi specializzati nello studio della tiroide;
- esami del sangue: gli ormoni tiroidei (TSH, fT3, fT4) sono necessari per valutare la funzionalità della tiroide. Lo specialista, a seconda del quadro clinico, può richiedere eventuali marcatori tumorali o esami di autoimmunità (es. calcitonina, anticorpi anti-tireoglobulina, anticorpi anti TPO, ecc.);
- agoaspirato (FNA): si tratta di un esame semplice e poco invasivo, che consiste nell’introduzione di un piccolo ago all’interno del nodulo sotto guida ecografica. Ciò permette di analizzare le cellule del nodulo e capire se è benigno o sospetto per malignità.
In base ai risultati, lo specialista può decidere se:
- controllare il nodulo nel tempo;
- candidare il paziente a un intervento chirurgico.
È importante non farsi prendere dal panico: la maggior parte dei noduli non è pericolosa e può essere gestita con controlli regolari. Affidarsi a professionisti esperti è la chiave per affrontare la situazione in modo sereno e sicuro”.
Perché rivolgersi a centri specializzati dopo aver ricevuto la diagnosi
Quando si riceve una diagnosi di nodulo tiroideo, soprattutto se c’è il sospetto di una forma maligna, è fondamentale rivolgersi a centri specializzati dove opera un team multidisciplinare. Questo approccio permette di avere una valutazione completa e condivisa, che tiene conto di tutti gli aspetti clinici, diagnostici e terapeutici.
Il team multidisciplinare è composto da:
- endocrinologi (o endocrinologi pediatrici) che inquadrano clinicamente il nodulo, richiedono gli esami necessari, pongono la diagnosi e impostano il successivo percorso terapeutico o di follow-up;
- chirurghi (all’Ospedale San Raffaele, il team è composto da un chirurgo generale dedicato alla chirurgia endocrina e da un chirurgo otorinolaringoiatra), in grado di eseguire operazioni sicure e precise utilizzando le più moderne tecnologie disponibili;
- anatomo-patologi, che analizzano i campioni cellulari o tissutali per una diagnosi definitiva;
- radiologi ed ecografisti, altamente specializzati nello studio del collo;
- medici nucleari, nei casi in cui si rendano necessarie terapie (ad esempio, con iodio radioattivo) o indagini diagnostiche per le forme più avanzate di tumore;
- oncologi e radioterapisti, nei rarissimi casi di tumore della tiroide avanzato.
“Affidarsi a un centro di riferimento, dove questi specialisti lavorano in stretta collaborazione e nell’ambito di Disease Unit ben strutturate, garantisce un percorso diagnostico-terapeutico sicuro, personalizzato ed efficace - afferma lo specialista -.
Questo è particolarmente importante quando si valutano le indicazioni chirurgiche: l’esperienza del team chirurgico, ad esempio, è un fattore chiave per ridurre il rischio di complicanze e assicurare risultati ottimali.
Un team esperto non si limita a trattare il nodulo, ma offre alla persona supporto e chiarezza in ogni fase del percorso: dalla diagnosi, alla decisione terapeutica, al follow-up nel tempo”.
In sintesi, quando si affronta una patologia tiroidea è fondamentale avere al fianco professionisti esperti e un’organizzazione che lavori in modo integrato. Questo fa la differenza non solo nella cura, ma anche nel garantire la tranquillità del paziente durante l’intero processo di diagnosi e di terapia.
Quando è necessario ricorrere all’intervento chirurgico
Se l’agoaspirato o il giudizio clinico suggeriscono la presenza di un tumore maligno, l’intervento è quasi sempre necessario per rimuovere la parte interessata o l’intera tiroide.
Il tipo di intervento chirurgico varia in base alla diagnosi:
- tiroidectomia parziale o lobectomia: si rimuove solo una parte della tiroide, solitamente quando il nodulo è limitato a un solo lato e non c’è il sospetto di metastasi linfonodali;
- tiroidectomia totale: si rimuove l’intera ghiandola;
- linfoadenectomie estese: fortunatamente i tumori molto aggressivi che richiedono linfoadenectomie cervicali estese sono la minoranza.
L’esperienza del chirurgo
“Quando si tratta di interventi sulla tiroide, l’esperienza del chirurgo è un elemento cruciale per garantire sicurezza ed efficacia - prosegue il medico -. I chirurghi del nostro team multidisciplinare sono professionisti che hanno ricevuto una formazione specifica e approfondita nella gestione delle patologie tiroidee e delle strutture anatomiche del collo.
La tiroide è una ghiandola delicata, posta vicino a strutture vitali come i nervi delle corde vocali e le ghiandole paratiroidi, che regolano il metabolismo del calcio. Un chirurgo esperto sa come evitare danni a queste strutture durante l’operazione, riducendo al minimo il rischio di complicanze quali:
- alterazioni della voce;
- ipocalcemia dovuta a danni alle paratiroidi;
- infezioni o ematomi post-operatori.
Tecniche innovative per la chirurgia endocrina
La chirurgia endocrina di oggi utilizza tecniche chirurgiche innovative che migliorano ulteriormente i risultati. Tra queste:
- chirurgia mininvasiva o videoassistita: permette di eseguire l’intervento con incisioni più piccole, riducendo il dolore e velocizzando il recupero;
- monitoraggio intraoperatorio del nervo ricorrente: una tecnologia che controlla in tempo reale la funzione delle corde vocali durante l’intervento, prevenendo danni nervosi;
- tecniche di preservazione delle paratiroidi: metodi specifici per identificare e salvaguardare queste piccole ghiandole durante la rimozione della tiroide.
Questi strumenti e competenze fanno la differenza nel percorso del paziente, permettendo un intervento più sicuro, meno invasivo e con tempi di guarigione più rapidi” conclude Maggiore.