Cos'è la distrofia muscolare di Duchenne?

PUBBLICATO IL 27 OTTOBRE 2022

La distrofia muscolare di Duchenne è una  malattia rara ereditaria che sovverte progressivamente la struttura del muscolo. I muscoli dei pazienti affetti da questa patologia presentano aspetti degenerativi che portano gradualmente alla perdita delle normali funzionalità motorie. 

A parlarci di questa malattia e a illustrarci i progressi medici in questo ambito è il dottor Stefano Previtali, neurologo e responsabile dell’Unità di Ricerca Rigenerazione Neuromuscolare presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele

 

Quali muscoli colpisce la distrofia muscolare di Duchenne

La distrofia muscolare di Duchenne colpisce i muscoli e porta a consistenti processi degenerativi non sufficientemente bilanciati dai processi rigenerativi. La struttura del tessuto muscolare viene sovvertita e buona parte di esso, invece di essere costituito da fibre muscolari, si trasforma in tessuto connettivo e fibrotico, perdendo la sua capacità contrattile. 

La malattia porta ad una forte debolezza e atrofia muscolare, coinvolgendo i principali muscoli del corpo del paziente affetto. Colpisce principalmente e in ordine:

  • i grossi muscoli delle braccia e delle gambe;
  • i muscoli prossimali (quelli più vicini al centro del corpo);
  • i muscoli distali (quelli più lontani dal centro del corpo);
  • la muscolatura respiratoria;
  • i muscoli intercostali;
  • il diaframma;
  • cuore.

Non coinvolge mai i muscoli del viso, né la muscolatura deglutitoria.

 

L’incidenza della distrofia muscolare di Duchenne

La malattia di Duchenne è una patologia pediatrica, neuromuscolare, ereditaria X linked, ovvero legata al cromosoma X, e colpisce i soggetti di sesso maschile

“La malattia è riscontrabile nella quasi totalità dei casi nel maschio – spiega lo specialista –. Questo perché la proteina che causa la distrofia di Duchenne, la distrofina, è codificata da un gene che è presente sul cromosoma X”.

I numeri della distrofia di Duchenne possono tradursi in:

  • 1 su 3.500 nati maschi, l’incidenza classica, che secondo le ultime stime è passata a 1 ogni 5.000 nati maschi;
  • 3 anni e mezzo, l’età in cui in media viene diagnosticata la malattia in Italia (in Europa la diagnosi media viene fatta intorno ai 4 anni e mezzo).

 

I sintomi della distrofia muscolare di Duchenne

“La distrofia muscolare di Duchenne è sempre stata considerata una malattia pediatrica: l’esordio si manifesta nella prima decade, pur essendo presente dalla nascita, con una rapida degenerazione in età giovanile e morte prematura –  dice il neurologo –. 

L’avviso principale per riconoscere questo tipo di patologia è il segno di Gowers nel cambio di posizione: movimento tipico in cui il bambino cerca di alzarsi dalla posizione supina appoggiandosi a supporti circostanti o facendo leva sulle proprie gambe con le braccia”.

In linea generale altri segnali nei bambini affetti possono essere:

  • ritardo nell’inizio della deambulazione rispetto alla media;
  • tendenza ad inciampare, cammino goffo o difficoltà nel cammino, atteggiamenti che possono far pensare ad un bambino ‘pigro’; 
  • più raramente, un lieve disturbo di tipo cognitivo o un disturbo dello spettro autistico.

Quando un bambino inizia a mostrare alcuni di questi campanelli di allarme è utile rivolgersi ad uno specialista neurologo, così da poter intraprendere un iter clinico per giungere ad una diagnosi sicura. 

 

La diagnosi

Ad oggi, gli specialisti possono avvalersi di esami come:

  • dosaggio dell’enzima CK (Creatina Chinasi): “I valori normali si attestano sotto i 200 U/L; nei soggetti affetti i valori superano l’ordine delle migliaia”;
  • esame genetico, conseguente all’esame obiettivo e ai valori alterati di CK, con esito in circa 1-2 mesi.

 

La terapia per la sindrome muscolare di Duchenne 

“Per la malattia di Duchenne non abbiamo ancora una terapia che possa risolvere il problema”, afferma il dottor Previtali che da anni si occupa di individuare nuove strategie terapeutiche e di identificare i meccanismi molecolari alla base di alcune malattie, tra cui questa distrofia.

In tempi passati i bambini affetti perdevano velocemente la capacità di camminare e la degenerazione passava agli altri muscoli con altrettanta rapidità. L’introduzione di un sistema multidisciplinare di approccio al paziente dagli anni ‘80 ha, però, permesso un miglioramento della vita e delle aspettative di sopravvivenza dei pazienti affetti. 

“Pur non avendo una terapia efficace, la semplice assunzione di una terapia corticosteroidea permette di migliorare la malattia in tutti i suoi ambiti:

  • capacità di camminata perdura in media 2 anni in più rispetto alla media della patologia;
  • miglioramento delle funzioni respiratorie;
  • miglioramento delle capacità cardiache”.

La cura, una scommessa della ricerca

Oltre a questo tipo di terapia di supporto, i ricercatori sono al lavoro per trovare nuove terapie che possano cambiare il decorso della malattia.

“Questo è uno dei campi di investimento che stiamo vivendo negli ultimi anni. Gli studi eseguiti fino ad ora non hanno ancora dato risultati soddisfacenti, ma abbiamo numerosi trial clinici in corso ed in programmazione per questo tipo di malattia: speriamo che qualcuno di questi studi ci possa dare dei risultati positivi nei prossimi 3-5 anni.  

Il prossimo anno partiranno nuovi studi di terapia presso il nostro centro, in collaborazione con altri Istituti in Europa e negli Stati Uniti, tra cui una nuova generazione di oligonucleotidi sintetici per ripristinare la sintesi della proteina distrofina mancante, più piccola, ma funzionante”.

La ricerca sta facendo passi avanti, si sta avvicinando ad una soluzione per questa malattia: la speranza è alta: “Siamo in un’era dove stanno arrivando le terapie – conclude il neurologo -. Sono sicuro che nei prossimi 5 anni avremo qualcosa che funziona. Quando ho iniziato a studiare questa malattia oltre a fare una diagnosi, non c’era altro da poter fare. 

Ad oggi posso dire che andrò in pensione con una cura. Dal punto di vista della medicina è una cosa straordinaria, non immaginabile fino a poco tempo fa. Abbiamo grandi speranze”.

Cura e Prevenzione