Tumore al seno triplo negativo, nuove speranze

PUBBLICATO IL 24 OTTOBRE 2020

Il tumore al seno triplo negativo è un particolare tipo di carcinoma mammario con meno opzioni terapeutiche e la prognosi peggiore, ma l’immunoterapia potrebbe cambiare le cose.

Il tumore al seno triplo negativo è uno dei più aggressivi e difficile da curare.   Oggi, tuttavia, c’è una nuova speranza per il trattamento della forma tripla negativa: sono gli inibitori dei checkpoint immunitari, che hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione per tutta l’oncologia. 

La loro somministrazione, in combinazione con la chemioterapia, è già stata autorizzata in clinica per il trattamento delle forme metastatiche del tumore al seno triplo negativo. La nuova frontiera è, però, testarne l’efficacia nelle fasi precoci. È questo l’obiettivo dello studio indipendente NeoTRIP, disegnato e promosso dalla Fondazione Michelangelo e coordinato dall’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Facciamo il punto sul tumore al seno triplo negativo e le nuove frontiere terapeutiche con Giampaolo Bianchini, Responsabile del gruppo neoplasie mammarie nell’Unità di Oncologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che ha di recente presentato al congresso internazionale ESMO alcuni importanti risultati relativi allo studio NeoTRIP.

Cos’è il tumore al seno triplo-negativo 

Il tumore al seno, chiamato anche carcinoma mammario, è la forma di cancro più frequente nel sesso femminile e da solo rappresenta il 19% dei tumori che colpiscono le donne. 

“Il tumore al seno viene al momento classificato in tre tipologie, definite a seconda del tipo di recettori espressi dalle cellule tumorali. Questi recettori definiscono l’approccio terapeutico da usare, dal momento che costituiscono dei veri e propri bersagli da colpire con i farmaci,” spiega Giampaolo Bianchini.

Ci sono i tumori che esprimono i recettori per gli estrogeni o il progesterone e che pertanto possono beneficiare alle terapie ormonali. 

Ci sono poi i tumori cosiddetti HER2-positivi, che presentano recettori per un fattore di crescita (la proteina HER2) in grado di alimentarne la proliferazione. Questi tumori possono essere trattati con degli anticorpi monoclonali e piccole molecole, sviluppate su misura per legarsi ai recettori HER2. 

“Ci sono, infine, i tumori tripli negativi, che non presentano recettori né per gli estrogeni, né per il progesterone, né per la proteina HER2: questi tumori non hanno alcun bersaglio da colpire - continua il dottore -. Ecco perché tra tutti i tumori al seno, di cui costituiscono solo il 15%, sono quelli con la mortalità più alta.”

Immunoterapia: nuove speranze per il tumore triplo negativo

Fino a poco tempo fa le uniche armi a disposizione contro il tumore al seno triplo negativo erano la chemioterapia, la chirurgia e la radioterapia. 

Una serie di studi recenti hanno stabilito l’efficacia di una nuova classe di farmaci: parliamo degli immunoterapici, in particolare gli inibitori dei checkpoint immunitari, la cui scoperta è valsa il premio Nobel per la medicina nel 2018 e che funzionano “togliendo i freni” al sistema immunitario.

È stata, infatti, di recente approvata la combinazione di un chemioterapico (chiamato nab-paclitaxel) e di un inibitore dei checkpoint immunitari (atezolizumab) per il trattamento della prima linea metastatica della malattia.

“Al momento la terapia è solo per i tumori che esprimono sulla loro superficie la proteina PD-L1: è grazie a questa proteina che il tumore riesce a inibire l’azione del sistema immunitario ed è su questa che agisce atezolizumab - spiega Bianchini -. Ma il nostro obiettivo è andare oltre, ovvero verificare l’efficacia del farmaco nelle fasi più precoci di malattia, prima dell’intervento chirurgico, e capire meglio come il farmaco funziona e  come incrementare il numero di pazienti che ne possono beneficiare.”

I dati ottenuti dallo studio NeoTRIP, che riguardano 260 donne, sono molto promettenti. Ad esempio, analizzando le biopsie dopo appena un ciclo terapeutico, cioè a poche settimane dall’inizio del trattamento, i ricercatori non hanno trovato traccia di tessuto tumorale in ben un terzo delle pazienti.

Non solo, circa due su tre pazienti con un tumore inizialmente PD-L1 negativo, diventavano positivi per PD-L1, indicando che il farmaco potrebbe essere efficace anche per queste pazienti, come suggerito già da altri studi. Ora resta da capire in quali pazienti si ottiene questa risposta e perché.

Medicina di precisione per il tumore triplo-negativo

Già nello studio NeoTRIP i ricercatori hanno raccolto alcune evidenze su cosa distingua le pazienti per cui il trattamento immunoterapico è più efficace. L’hanno fatto analizzando le biopsie tumorali effettuate all’inizio della terapia, durante il trattamento e al momento della chirurgia.

“Oltre all’espressione della proteina PD-L1, a cui si lega il farmaco, un altro indicatore importante dell’efficacia di atezolizumab è il numero di linfociti infiltranti nel tessuto tumorale: più ce ne sono fin dall’inizio, e più la terapia sarà efficace - spiega Bianchini -. 

Il prossimo passo sarà ampliare la nostra capacità di analisi delle cellule tumorali, per capire quali sono le caratteristiche genetiche e molecolari che le rendono più o meno sensibili all’immunoterapia, anche attraverso le tecniche di sequenziamento genetico di nuova generazione.”

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