Cura COVID-19: quali sono le terapie e i farmaci efficaci?

PUBBLICATO IL 16 NOVEMBRE 2020

Grazie alla ricerca svolta durante la prima ondata sono state identificate alcune terapie contro il COVID-19 efficaci, sebbene non risolutive. Il prof Ciceri fa il punto su queste e i farmaci sperimentali

Nonostante la pandemia da COVID-19 sia in corso ormai da 11 mesi, non esistono farmaci specifici per trattare l’infezione da SARS-CoV-2. Lo sviluppo di un farmaco richiede differenti sperimentazioni cliniche con l’obiettivo di ridurre la mortalità della malattia e la degenza in ospedale nei pazienti COVID-19. Alcuni di questi farmaci sono già in commercio, altri sono ancora sperimentali.

“Grazie alla ricerca abbiamo già iniziato a identificare alcuni farmaci efficaci nel trattare la malattia. Insieme all’utilizzo di mascherine e distanziamento sociale, che riducono la quantità di virus trasmessa nei contagi, i nuovi protocolli terapeutici sono la vera ragione per cui la mortalità della malattia si è ridotta rispetto a marzo,” spiega il professor Fabio Ciceri, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele

Facciamo il punto sulle terapie per COVID-19: quali sono i farmaci per cui è già stata dimostrata l’efficacia? E quali sono i più promettenti ancora in corso di sperimentazione?

I tipi di farmaci impiegati contro il coronavirus

I farmaci attualmente impiegati per contrastare gli effetti della malattia indotta da SARS-CoV-2 rientrano principalmente in 4 categorie: 

  1. antivirali: impediscono al virus di replicarsi nelle cellule e sono efficaci nelle fasi precoci della malattia;
  2. immunostimolanti: supportano l’azione del sistema immunitario contro il virus;
  3. anti-coagulanti: riducono il rischio di eventi trombotici;
  4. immunomodulanti con attività antinfiammatoria: per le forme di malattia con iper attivazione del sistema immunitario e sindrome da rilascio citochinico.

Antivirali: cosa sappiamo dell’efficacia di remdesivir

Al momento l’unico antivirale di cui è stata dimostrata l’efficacia contro SARS-CoV-2 è remdesivir, sviluppato inizialmente per Ebola, si era già dimostrato efficace contro il coronavirus della SARS, ma era poi stato lasciato in un cassetto con la fine dell’epidemia nel 2003. È stato il primo farmaco a ricevere l’approvazione per il trattamento di COVID-19 da FDA americana e dell’EMA. 

Dalle ricerche condotte sappiamo che remdesivir è in grado di ridurre il tempo di degenza in ospedale per i pazienti in fase precoce di malattia. Un recente trial randomizzato condotto dall’OMS non ha dimostrato l’efficacia del farmaco nel ridurre la mortalità, ma lo studio è stato aspramente criticato dagli esperti, perché ha incluso dati di somministrazione in fase avanzata di malattia.

“La nostra esperienza in clinica è positiva: il farmaco aiuta a controllare l’infezione, ma va somministrato all’inizio del ricovero, prima che la malattia avanzi verso lo stato iper-infiammatorio - osserva Ciceri -. In ogni caso sono in corso ulteriori studi che ci aiuteranno a fare chiarezza in merito.”

Altri antivirali in sperimentazione

Altri farmaci che si sono rivelati promettenti negli studi di laboratorio e al momento sono in corso di studio nell’uomo (in trial di fase 2/3) presso diversi centri nel mondo sono gli antivirali favipiravir e molnupiravir, sviluppati per il virus dell’influenza. Ma è presto per dire se sono efficaci nell’uomo.

“Ci sono poi opzioni terapeutiche utilizzate a inizio pandemia, come la clorochina e idrossiclorochina o l’accoppiata di antivirali per HIV chiamati lopinavir e ritonavir, che si sono poi rivelate, a un esame più attento, non efficaci per trattare COVID-19 e che oggi non fanno più parte del trattamento standard dei pazienti” spiega Ciceri. 

“L’obiettivo, in una situazione di emergenza e in continua evoluzione come questa, è basarci sul meglio delle conoscenze a disposizione in ogni momento e allo stesso tempo contribuire a rivederle ed espanderle, sempre pronti a modulare i protocolli se altri si dimostrano più efficaci.”

Immunostimolanti: Plasma iperimmune, anticorpi monoclonali e interferone 1

Le terapie a base di plasma iperimmune e quelle a base di anticorpi monoclonali si fondano sullo stesso razionale: aiutare il sistema immunitario dei pazienti fornendo gli anticorpi contro il virus nelle fasi precoci della malattia, trasferendo da un paziente guarito a uno ammalato il plasma, che contiene gli anticorpi specifici prodotti in risposta all’infezione. 

Il problema è che nel plasma di un paziente possono essere presenti diversi tipi di anticorpi, più o meno efficaci, e in quantità diverse. E’ attualmente in corso uno studio multicentrico per l’utilizzo del plasma iperimmune nei pazienti COVID-19.

Anticorpi monoclonali 

In corso di sperimentazione vi sono anche le terapie a base di anticorpi monoclonali. Si basano sulla purificazione e produzione in laboratorio soltanto degli anticorpi più efficaci contro SARS-CoV-2. I primi dati sulla loro efficacia sono incoraggianti, soprattutto se sono somministrate a inizio infezione.

Interferone 1 in sperimentazione

“Sempre con l’obiettivo di supportare l’azione del sistema immunitario nelle fasi iniziali, stiamo sperimentando in clinica l’utilizzo dell’interferone di tipo 1 - spiega Ciceri-. Sappiamo che l’interferone è fondamentale per la risposta alle infezioni virali e alcune ricerche recenti ci dicono che nei pazienti più suscettibili al virus ci siano dei problemi nella produzione e nell’utilizzo di queste molecole.”

Spegnere l’infiammazione: l’efficacia dei corticosteroidi 

Sappiamo che nelle forme più gravi della malattia, quelle che richiedono supporto respiratorio o addirittura ricovero in terapia intensiva, le fasi avanzate sono caratterizzate da una sproporzionata risposta immunitaria e da una condizione di iper-infiammazione sistemica

Per il trattamento dei pazienti in questa fase, al momento esiste una sola classe di farmaci per cui è stata dimostrata efficacia: sono i corticosteroidi (di cui fa parte il cortisone), che secondo gli studi sono in grado di ridurre la mortalità per COVID-19 del 30%

“Trattandosi però di farmaci immunosoppressivi vanno somministrati solo nei pazienti con compromissione respiratoria, come anche raccomandato da AIFA. Viceversa possono avere effetti controproducenti, ostacolando la risposta immunitaria al virus - spiega Ciceri -. In aggiunta viene impiegata anche l’eparina per ridurre il rischio di trombosi, che sappiamo essere frequente nella fase infiammatoria della malattia.”

Risultati contrastanti sugli inibitori delle citochine 

Diversi studi clinici, anche condotti presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, hanno valutato l’efficacia di anti-infiammatori ad azione più specifica dei corticosteroidi, in particolare gli inibitori di alcune citochine infiammatorie (presenti in alte concentrazioni nel sangue dei pazienti con forme gravi di COVID-19).

Si tratta di farmaci sviluppati per il trattamento di malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide. Per ora le evidenze non sono univoche: alcune ricerche suggeriscono una loro efficacia, altre non rivelano un miglioramento statisticamente significativo sui pazienti, ma studi multicentrici su coorti di grandi dimensioni sono in corso.

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