Trattato per la prima volta un paziente COVID-19 con nuovo farmaco sperimentale

PUBBLICATO IL 10 MAGGIO 2020

Si tratta di un inibitore del sistema del complemento e agisce all’origine della reazione iper-infiammatoria che si osserva nelle forme gravi di COVID-19

Uno degli strumenti più potenti a disposizione delle nostre difese immunitarie per proteggerci da virus e batteri è costituto da un insieme di proteine di cui si parla pochissimo: il sistema del complemento. 

Secondo alcuni studi, questo sistema gioca un ruolo fondamentale nell’innescare lo stato iper-infiammatorio osservato in alcuni pazienti Covid.

All’IRCCS Ospedale San Raffaele è stato trattato per la prima volta un paziente Covid-19 con un inibitore del complemento (chiamato AMY-101) all’interno di un programma di uso compassionevole. Si tratta di un farmaco sperimentale dalla potente azione antinfiammatoria, che ha già superato trial di fase I per tollerabilità e sicurezza. 

Il primo paziente, un uomo di 71 anni, è stato trattato il 10 aprile sotto la supervisione del professor Fabio Ciceri, vice-direttore scientifico per la ricerca clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e coordinatore dello studio, e oggi sta bene. I risultati del caso clinico sono stati pubblicati su Clinical Immunology e dovranno essere confermati da ulteriori studi.

La tempesta infiammatoria del COVID-19 

È sempre più evidente che nei pazienti COVID-19 la polmonite interstiziale è guidata da un processo infiammatorio che raggiunge, poi, dai polmoni anche altri organi, come il cuore, i reni o il cervello.

 Il responsabile di queste forme gravi della malattia non sembra essere il virus in sé, quanto piuttosto un’eccessiva risposta immunitaria dell’organismo.  

Per questo i medici hanno iniziato a somministrare ai pazienti ricoverati cocktail di farmaci immunomodulatori, come tocilizumab e anakinra. Sono farmaci che agiscono sulle cosiddette citochine infiammatorie

“Le citochine sono anelli fondamentali di quella catena di segnali che mantiene attivo lo stato infiammatorio - spiega Fabio Ciceri -. I primi studi effettuati dimostrano l’efficacia, seppur limitata, di questi farmaci.”

Cos’è il sistema del complemento e come funziona il farmaco

Il sistema del complemento è un gruppo di 30 proteine che aiutano il sistema immunitario a scatenare un’efficace risposta infiammatoria. Fanno parte della cosiddetta immunità innata, ovvero quella parte delle nostre difese che entra in azione per prima, seppur in modo meno specifico.

Alcuni studi, sia clinici che preclinici, suggeriscono che il sistema del complemento e in particolare una proteina che ne fa parte – C3 – possa giocare un ruolo chiave nella reazione iper-infiammatoria al nuovo coronavirus. 

Il sistema del complemento risulta, infatti, altamente attivato nei pazienti con le forme più gravi di COVID-19. Allo stesso tempo, secondo alcune ricerche fatte sul modello animale del vecchio SARS-CoV (il coronavirus della SARS del 2003, molto simile all’attuale SARS-CoV-2) inibire C3 o inattivarlo riduce altamente l’infiammazione polmonare e la sindrome respiratoria.  

“Il vantaggio degli inibitori del sistema del complemento, soprattutto di C3, è che agiscono sui primi anelli della catena infiammatoria, interrompendo cioè fin dal principio la cascata di segnali infiammatori che l’infezione da coronavirus mette in moto -spiega Fabio Ciceri. - A confronto, i farmaci immunomodulatori sperimentati fino a ora agiscono sulle citochine, che si trovano molto più a valle lungo questa cascata di segnali.”

Le ragioni per testare gli inibitori di C3 in COVID-19 erano state riassunte di recente in una lettera su Nature Reviews Immunology, firmata da Ciceri insieme al massimo esperto sul sistema del complemento, John Lambris, professore presso la University of Pennsylvania.

I risultati del caso clinico

L’uomo aveva un quadro clinico già molto compromesso – ipertensione, colesterolo alto, insufficienza renale e malattia coronarica – ed era in ventilazione non-invasiva al momento della somministrazione del farmaco per via endovenosa.

 Il trattamento è durato per 14 giorni, ma già dopo 48 ore i medici hanno osservato un drastico miglioramento sia dal punto di vista dei parametri clinici che di laboratorio. Dopo una decina di giorni il paziente respirava autonomamente e non presentava alcun effetto collaterale associato al trattamento.

“I risultati ottenuti sono promettenti - afferma Ciceri -. Tuttavia solo il tempo e un numero maggiore di pazienti trattati ci dirà se questo tipo di farmaci possa fare la differenza. Speriamo che il mondo medico e scientifico concentri i suoi sforzi anche in questa direzione.”

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