I sintomi cognitivo-comportamentali della SLA: come riconoscere le emozioni altrui

I sintomi cognitivo-comportamentali della SLA: come riconoscere le emozioni altrui

PUBBLICATO IL 20 GIUGNO 2025

I sintomi cognitivo-comportamentali della SLA: come riconoscere le emozioni altrui

PUBBLICATO IL 20 GIUGNO 2025

In occasione della Giornata Mondiale della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), che si celebra ogni anno il 21 giugno, abbiamo intervistato la dottoressa Elisa Canu, ricercatrice presso il laboratorio di Neuroimaging of neurodegenerative disorders diretto dal prof. Massimo Filippi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, per approfondire gli aspetti cognitivi di una malattia che spesso si ritiene colpisca solo le abilità motorie.

 

Cos’è la SLA e come si manifesta

La Sclerosi Laterale Amiotrofica, abbreviata SLA, è una malattia neurodegenerativa che colpisce principalmente i motoneuroni, ossia le cellule nervose deputate al controllo muscolare. La SLA è caratterizzata da: 

  • una progressiva degenerazione delle vie nervose nelle regioni laterali del midollo spinale (da cui il termine 'laterale');
  • la conseguente formazione di tessuto cicatriziale (sclerosi). 

La perdita di stimolazione nervosa provoca l’atrofia muscolare, ovvero la riduzione del trofismo dei muscoli ('amiotrofica').

“Quasi tutti i pazienti che vengono alla prima visita per sospetta SLA hanno infatti un disturbo motorio: essi generalmente presentano debolezza, rigidità o atrofia muscolare (perdita di massa muscolare), ma anche, nelle forme più aggressive della malattia, difficoltà nella respirazione, nella deglutizione e disartria, cioè la difficoltà ad articolare le parole in modo chiaro e comprensibile”, racconta la dottoressa Canu.

Questa malattia colpisce, solo in Italia e ogni anno, da 1 a 3 nuovi individui su 100.000 persone: “Oggi non esistono trattamenti che rallentino o interrompano la progressione nefasta della malattia, che ha una durata media di soli 3-4 anni”, afferma la dottoressa Canu.

 

I sintomi silenziosi della SLA

Nonostante l’esordio caratterizzato da disturbi del movimento, la SLA può presentare anche sintomi cognitivo-comportamentali, che insorgono nel 30-50% dei pazienti. 

Questi disturbi cognitivi solitamente compaiono gradualmente e in modo spesso impercettibile sia per il paziente con SLA, sia per chi lo assiste, motivo per cui la ricerca su questa malattia storicamente si è meno concentrata su tali sintomi non-motori

Tuttavia, lo studio approfondito di questa malattia ha progressivamente permesso a ricercatori e specialisti di riconoscere aspetti clinici, patologici e genetici condivisi all’interno dello spettro delle malattie frontotemporali, un gruppo di malattie neurodegenerative che causano il deterioramento progressivo di funzioni cognitive e comportamentali.

L’approfondita valutazione neuropsicologica di questi pazienti sul versante cognitivo e comportamentale ha messo in luce alterazioni che insorgono in modo subdolo e silenzioso, tali da non essere riconosciute appunto né dal paziente né dal caregiver.

Inoltre, spesso le alterazioni cognitive nei pazienti con SLA si associano ad anosognosia (dal greco, mancanza di conoscenza della malattia), una condizione in cui la persona non è consapevole dei propri disturbi, complicando così il loro rilevamento e la loro identificazione.

Quando presenti, i disturbi cognitivi nei pazienti con SLA sono associati ad alterazioni del circuito frontotemporale, in particolare della corteccia prefrontale, l’area del cervello che normalmente regola le funzioni di cognizione sociale, pianificazione e pensiero complesso.

“Di conseguenza, queste persone possono avere difficoltà nelle funzioni esecutive, come la capacità di programmazione oppure quella ideativa, e/o difficoltà comportamentali, come apatia o impulsività”, racconta la dottoressa Canu. 

In una parte dei pazienti con SLA che soffrono di disturbi cognitivo-comportamentali si rileva, inoltre, una generale difficoltà nel riconoscere le emozioni facciali, soprattutto quelle negative come la tristezza, la rabbia e il disgusto, oltre che un impedimento nel comprendere gli stati cognitivi altrui, come desideri e intenzioni. 

La capacità di riconoscere le emozioni e gli stati cognitivi degli altri viene studiata dalla cosiddetta ‘cognizione sociale’, una recente branca della neuropsicologia. “Tuttavia, i pochi studi condotti sulla cognizione sociale finora hanno coinvolto campioni molto ristretti di pazienti affetti da SLA”, afferma la dottoressa. 

 

Misurare la cognizione sociale nella SLA

In questo contesto, uno studio condotto dalla dotto.ssa Canu, insieme alla dott.ssa Veronica Castelnovo e colleghi, ha indagato il riconoscimento emotivo nei pazienti con SLA usando test che misurano l’abilità di riconoscere le espressioni universali delle emozioni fondamentali, quali gioia, tristezza, rabbia, sorpresa, paura, disgusto. Queste emozioni sono rappresentate da immagini standardizzate di volti, i cosiddetti ‘volti di Ekman’.

Alle persone che si sottopongono ai test viene chiesto, ad esempio, di indicare quale volto di Ekman, tra alcune possibili opzioni, esprima una certa emozione. Lo studio dei ricercatori del San Raffaele ha mostrato che questi test aiutano a: 

  • distinguere i soggetti sani da quelli affetti da SLA;
  • capire chi, tra i soggetti malati, presenta un disturbo cognitivo oppure no. 

“Tuttavia, è bene precisare che alcuni di questi test non sempre sono ottimali per individuare chi tra i pazienti presenta segni iniziali di disturbo cognitivo. Per questo motivo, una valutazione neuropsicologica estesa che vada ad indagare l’integrità o meno di tutte le funzioni cognitive e comportamentali del paziente rimane necessaria”. 

 

Non soltanto movimento

La SLA è una patologia devastante, per le persone che ne soffrono e per i loro caregiver, nella quale i gravi sintomi motori si manifestano molto presto, richiedendo così assistenza tempestiva. 

Spesso queste persone devono prendere decisioni importanti, non solo riguardo al tipo di trattamento a cui sottoporsi, ma anche nell’ambito della propria vita quotidiana. 

Prendere queste decisioni richiede che i pazienti mantengano le proprie abilità cognitive di discernimento e consapevolezza, ed è per questo che “è fondamentale continuare la ricerca sugli aspetti cognitivi e comportamentali della malattia, cosicché possiamo accompagnare e assistere i pazienti nel modo migliore possibile”, conclude la dottoressa Canu.