COVID-19: il modello lombardo degli hub cardiochirurgici

PUBBLICATO IL 08 GIUGNO 2020

Un editoriale sul prestigioso European Journal of Cardio-Thoracic Surgery, firmato da un team di specialisti, coordinati dall’IRCCS Ospedale San Raffaele, descrive il primo modello europeo di riorganizzazione dell’attività cardiochirurgica per far fronte all’emergenza COVID-19.

Nel periodo di emergenza Covid-19, a causa dell’alto numero di pazienti positivi in Lombardia, quasi tutte le attività elettive, sia ambulatoriali che chirurgiche, si sono fermate. Interi ospedali sono stati convertiti in centri Covid con percorsi dedicati al loro interno. 

Questa situazione ha rappresentato una sfida in termini di rapidità ed efficacia delle misure da adottare, cambiando anche la presa in carico dei pazienti cardiochirurgici.

Per poter essere d’aiuto agli altri paesi colpiti dalla pandemia, un gruppo di specialisti italiani, coordinati dai cardiochirurghi dell’Ospedale San Raffaele e coinvolti nella mappa degli hub designati da Regione Lombardia, ha voluto condividere con la comunità cardiovascolare internazionale la risposta lombarda all’emergenza. 

Il modello della riorganizzazione dell’attività cardiochirurgica è descritto in un editoriale pubblicato sull’European Journal of Cardio-Thoracic Surgery.

Come si è organizzata la regione: i centri hub e spoke

“Per garantire le prestazioni d'urgenza non legate a COVID-19 – spiega il Professor Alessandro Castiglioni, primario dell’Unità di Cardiochirurgia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – la Regione Lombardia ha riorganizzato il suo sistema sanitario, introducendo un modello di hub e spoke, caratterizzato da efficienza e valorizzazione della qualità delle cure”.

Si tratta di un modello che comprende un network composto da:

  • hub: centri primari in grado di fornire una più vasta gamma di servizi; 
  • spoke: centri satellite con un’assistenza più limitata. 

I pazienti negli spoke che necessitano di cure più complesse, ad esempio, vengono trasferiti nei rispettivi hub.

I centri hub devono soddisfare determinate caratteristiche, come: 

  • l’attivazione di percorsi preferenziali per le emergenze non-Covid; 
  • la garanzia di accesso e ospedalizzazione grazie alla presenza di più team (di cui almeno uno attivo 24/7) e di sale operatorie dedicate sempre attive. 

Inoltre, devono essere presenti al loro interno laboratori per la diagnosi rapida di SARS-Cov-2 e, in questo caso specifico, devono garantire un’unità postoperatoria di Rianimazione cardiovascolare Covid-free. 

Per le urgenze cardiochirurgiche è stata creata una rete composta da 5 centri Hub: 

  • l’IRCCS Ospedale San Raffaele;
  • il Centro Cardiologico Monzino;
  • l’Ospedale di Legnano;
  • la Fondazione Poliambulanza di Brescia; 
  • l’IRCCS Policlinico San Donato, quest’ultimo dedicato ai pazienti pediatrici. 

L’organizzazione nei centri Hub cardiochirurgici

“In un’ottica di coordinamento - specifica il dottor Igor Belluschi, primo autore dell’editoriale -  sono stati messi a punto criteri d’azione comuni a tutti i centri hub cardiochirurgici e una unitaria definizione delle condizioni di emergenza, urgenza e indifferibilità (necessità dell’intervento entro 2 mesi) per stabilire, caso per caso, le priorità d’intervento”. 

Pazienti positivi 

L’organizzazione prevede, in particolare, l’esecuzione dei tamponi rino-faringei in fase pre-operatoria per tutti i pazienti, sia negli hub, che negli spoke. 

Chi risulta positivo a SARS-CoV-2 viene operato solo in caso di emergenza/urgenza, qualora l’intervento risulti essere l’unica soluzione terapeutica possibile. 

A loro sono destinati specifici percorsi Covid, comprensivi di sale operatorie a pressione negativa con protocolli di pulizia dedicati. 

Anche la degenza postoperatoria viene confinata in reparti ad hoc.

Situazioni di emergenza ancora in fase di test 

In situazioni di emergenza in cui il risultato del tampone non fosse ancora disponibile, al momento dell’intervento ci si deve comportare come se il paziente fosse positivo: pertanto, in via precauzionale, l’operazione viene effettuata in sale operatorie Covid.

Laddove possibile, per evitare contagi interni dovuti al sovraffollamento, sono promosse procedure in via percutanea, che richiedono una degenza ospedaliera minore rispetto a un intervento tradizionale e dimissioni anticipate anche in termini di riabilitazione.

Per quanto riguarda i pazienti SARS-CoV-2 positivi, queste opzioni dovranno essere prese in considerazione soprattutto in caso di stenosi aortica e/o ischemia cardiopatica.

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