
Colite ulcerosa: uno studio clinico multicentrico del San Raffaele apre nuove prospettive al trattamento con un innovativo anticorpo monoclonale
PUBBLICATO IL 22 LUGLIO 2025
Il trattamento della colite ulcerosa, una malattia infiammatoria cronica dell’intestino, con il nuovo anticorpo monoclonale afimkibart ha portato a una remissione dei sintomi e dei segni della malattia in alcuni pazienti affetti dalla sua forma moderato-grave.
Lo riporta uno studio clinico multicentrico di fase 2b, guidato dal professor Silvio Danese, primario dell’Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva all’IRCCS Ospedale San Raffaele e ordinario di Gastroenterologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, appena pubblicato sulla rivista The Lancet Gastroenterology & Hepatology.
L’anticorpo monoclonale afimkibart: cos’è e come funziona
Afimkibart è un farmaco che agisce sequestrando TL1A, una molecola che promuove l’infiammazione e la fibrosi (l’eccessivo deposito della matrice extracellulare e l’eccessiva proliferazione dei fibroblasti, cellule che producono la matrice) caratteristiche della colite ulcerosa.
Una volta sequestrata, TL1A non può legarsi al suo recettore presente sulle cellule immunitarie e sui fibroblasti e, quindi, non può attivare la cascata di eventi cellulari che sfociano in infiammazione e fibrosi.
Il risultato dell’azione di afimkibart è dunque un’attenuazione della risposta infiammatoria e fibrotica caratteristiche della colite ulcerosa.
I risultati dello studio multicentrico TUSCANY-2
Lo studio clinico TUSCANY-2, che ha coinvolto 114 centri in 23 Paesi e di cui l’Ospedale San Raffaele di Milano è il capofila, ha testato la sicurezza e l’efficacia di afimkibart nel trattamento della forma moderato-grave della colite ulcerosa.
Sono state valutate 3 diverse dosi (50 mg, 150 mg e 450 mg) del farmaco, somministrato sottocute ogni 4 settimane, per un periodo totale di 52 settimane. In parallelo a ogni gruppo di pazienti che ha ricevuto una certa dose del farmaco, un altro gruppo di pazienti controllo ha ricevuto un placebo.
Tutti i pazienti sono quindi stati sottoposti a colonscopia dopo 14 e dopo 56 settimane dall’inizio del trattamento, per valutare l’andamento della malattia e le caratteristiche della parete intestinale.
In tutti i pazienti che avevano ricevuto afimkibart il farmaco ha mostrato un profilo di sicurezza accettabile e non ha causato effetti collaterali significativi.
Indipendentemente dalla dose somministrata, afimkibart ha inoltre portato a una remissione clinicamente rilevante dei sintomi e dei segni (manifestazione) della malattia in una frazione del gruppo di pazienti trattati, rispetto a quanto osservato nei pazienti che avevano ricevuto il placebo.
Il farmaco ha mostrato un’azione efficace già dopo 14 settimane dalla prima somministrazione, e la sua efficacia è stata mantenuta anche a 56 settimane dopo l’inizio della sperimentazione, indipendentemente dalla dose somministrata.
Nell’insieme, i risultati di TUSCANY-2 identificano afimkibart come un’alternativa promettente per il trattamento della forma moderato-grave della colite ulcerosa.
Prospettive future
La colite ulcerosa è una delle malattie infiammatorie croniche (Mici) che colpiscono la parete intestinale.
Sebbene esistano diverse opzioni terapeutiche, che includono i farmaci immunosoppressori, i farmaci inibitori di JAK e i farmaci biologici (come gli anticorpi monoclonali), molti pazienti non rispondono o rispondono parzialmente ai trattamenti disponibili.
“È pertanto importante continuare la ricerca di nuovi bersagli terapeutici e di nuove strategie che agiscano per attenuare l’infiammazione e la fibrosi che accompagnano le forme moderate e gravi della colite ulcerosa - commenta il professor Silvio Danese, primo autore dello studio TUSCANY-2 -.
Questo è il più grande studio multicentrico di fase 2b condotto su una nuova classe di farmaci che agiscono contro TL1A, come fa afimkibart.
Sono tuttora in corso studi clinici di fase 3 che mirano a confermare i risultati di efficacia di questi farmaci, per il trattamento sia della colite ulcerosa che della malattia di Crohn, un’altra patologia infiammatoria cronica dell’intestino”, conclude il professore.