Tumore al pancreas: i primi sintomi, le cure e i progressi della ricerca
PUBBLICATO IL 16 NOVEMBRE 2023
Il tumore al pancreas registra, solo in Italia, circa 14.000 nuovi casi ogni anno. Esistono diversi tipi di neoplasie legate a questo organo anche se quello di cui si parla maggiormente è l’adenocarcinoma duttale, forma più frequente in termini non epidemiologici, ma di impatto mediatico, con percentuali di guarigione ancora troppo basse.
Nella Giornata Mondiale della Consapevolezza sul Tumore al Pancreas che si celebra oggi, giovedì 16 novembre, è importante rimarcare l’importanza della prevenzione e della sensibilizzazione che ruota attorno a questa patologia, a oggi ancora poco conosciuta.
Il professor Massimo Falconi, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Pancreas e dei Trapianti dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ci spiega le differenze tra le diverse tipologie di tumore, l’importanza di una diagnosi precoce, quali sono i trattamenti e i progressi della Ricerca per garantire cure sempre più efficaci.
Le tipologie di tumore del pancreas
“Esistono diverse forme di carcinoma pancreatico - spiega il prof. Massimo Falconi -.
In termini epidemiologici, probabilmente quelle più comuni sono le cosiddette neoplasie cistiche, chiamate generalmente neoplasie papillari mucinose intraduttali (IPMN) che, fondamentalmente, hanno riscontri per lo più incidentali e che in una popolazione con più di 80 anni sono presenti fino al 10% dei casi.
Fortunatamente, questa forma è generalmente benigna e molto spesso non richiede alcun trattamento. Solo in rarissimi casi, nel 10% della popolazione colpita, può invece necessitare di un intervento chirurgico.
Nel mezzo, si colloca una vasta area grigia di pazienti che hanno avuto la diagnosi di neoplasia papillare mucinosa intraduttale e che devono sottoporsi a controlli nel corso degli anni per scongiurare eventuali casi di trasformazione in una neoplasia maligna.
La forma più aggressiva è l’adenocarcinoma duttale, neoplasia relativamente rara che colpisce 12 persone su 100.000 abitanti e generalmente colpisce le persone tra i 60 e i 70 anni”.
I fattori di rischio
Tra i fattori di rischio correlati all’insorgenza del tumore, ci sono in primis l’invecchiamento e altri collegati come:
- fumo di sigaretta;
- abitudini alimentari errate;
- abuso di alcol;
- sedentarietà.
C’è inoltre un 10% della popolazione che risulta affetta da questa neoplasia che presenta una tara genetica che viene ereditata e che espone a un rischio, insieme ai fattori ambientali, molto più alto che nella popolazione generale.
I primi sintomi del tumore al pancreas
I sintomi relativi al carcinoma del pancreas sono legati, in prevalenza, all’insorgenza di un dolore aspecifico che può localizzarsi in diversi distretti corporei:
- bocca dello stomaco;
- schiena;
- parte alta del tronco.
“All’inizio il dolore si presenta intermittente di solito ed è l’aggravamento della patologia ciò che di solito spinge il paziente a rivolgersi a uno specialista per sottoporsi agli accertamenti del caso - continua -. Mentre l’ittero è qualcosa che va indagato nell’immediato, tutto il resto dei sintomi può essere confuso con una sintomatologia dispeptica addominale che porta, quindi, la persona a rivolgersi a diversi specialisti senza mai arrivare a una giusta conclusione.
Altro sintomo è la comparsa di un dimagrimento significativo nell’arco di poco tempo non giustificato da restrizioni dietetiche.
Anche se il sintomo più distintivo e altamente sospetto per una diagnosi di carcinoma pancreatico è senza dubbio l’ittero, ingiallimento della cute e degli occhi che compare soprattutto se la neoplasia si localizza nella testa del pancreas.
C’è, inoltre, una situazione che si associa abbastanza spesso all’adenocarcinoma duttale, cioè l’insorgenza di un diabete non giustificato dal sovrappeso o da abitudini sbagliate che compare 1 anno prima del tumore. Il diabete si associa all’adenocarcinoma nel momento in cui il pancreas, funzionando meno bene in relazione alla secrezione di alcune sostanze, fa si che il soggetto diventi intollerante allo zucchero, si accorge di essere diabetico.
I colleghi diabetologi, consci di questa associazione, suggeriscono di fare almeno un’ecografia in caso di nuova diagnosi di diabete anche se molto raramente rispetto alla popolazione di diabetici si scopre un adenocarcinoma”.
Come si diagnostica il tumore del pancreas
Come primo screening, al paziente viene consigliato di sottoporsi a un’ecografia dell’addome, molto utile per individuare eventuali lesioni sospette, ma non definitiva per via di alcuni aspetti:
- è un esame operatore-dipendente: l’ecografista che la esegue deve essere molto scrupoloso nell’andare a ricercare e a indagare più nello specifico le anomalie;
- è un esame superficiale: il pancreas è un organo molto profondo che, spesso, presenta “barriere” che rendono difficoltosa l’osservazione (es. meteorismo o presenza di adipe) e l’ecografia non è in grado di superare questi limiti, se presenti.
Per una diagnosi definitiva, la TC rappresenta l’esame più indicato essendo in grado, nella maggior parte dei casi, di individuare nel dettaglio la lesione o quanto meno segni indiretti sospetti per una sua presenza (ad esempio, una dilatazione anomala del dotto pancreatico principale, Wirsung).
Anche alcuni esami ematochimici possono aiutare nel valutare alcune variazioni sospette di valori del sangue come, ad esempio
- una glicemia non attesa dai comportamenti della persona;
- un’alterazione degli indici di funzionalità epatica, prima che compaia l’ittero;
- la presenza di marcatori tumorali alterati, quali il CA19.9 o il CEA, in presenza di un elevato sospetto clinico”.
Come si tratta il tumore del pancreas
Per quanto riguarda i trattamenti, c’è stato un cambiamento importante rispetto a una volta. Da un punto di vista chirurgico, l’intervento di asportazione della neoplasia rappresenta una delle poche (se non l’unica) possibilità di guarigione dalla malattia anche se, nel corso degli anni, abbiamo realizzato che nell’80% della popolazione operata si presentavano comunque delle ricadute.
“Oggi si può dire che il primo interlocutore del paziente, dovrebbe essere l’oncologo affiancato da un chirurgo contestualmente a un team multidisciplinare di persone dedicate e competenti che abbracciano tutti gli aspetti di cura e trattamento della malattia nella fase diagnostica, nella fase della prevenzione e nella fase terapeutica - afferma lo specialista -.
La capacità di affrontare la malattia non si basa solo su ciò che si può fare, ma su ciò che strategicamente è meglio fare. Ciascun membro del team lavora come squadra cercando di mettere il paziente al centro e cercando di capire il possibile ruolo di ogni attore coinvolto e quando. Quindi, ancora una volta, entra in campo una multidisciplinarietà di diverse figure mediche e non mediche con una precisa competenza nella diagnosi e trattamento delle patologie pancreatiche.
Di fatto, un paziente affetto da adenocarcinoma duttale può accedere a diversi trattamenti in base allo stadio della patologia:
- intervento chirurgico (nel 20-30% dei casi), che si concentra su 2 distretti della ghiandola: il corpo-coda (generalmente con un mininvasivo, in laparoscopia) e la testa del pancreas (presso l’Ospedale San Raffaele viene eseguito a cielo aperto);
- terapia oncologica, che rappresenta l’unica possibilità di trattamento (come, ad esempio, accade nella malattia metastatica) oppure che può porsi come adiuvante (che segue) o neoadiuvante (che precede) all’intervento chirurgico”.
La sopravvivenza al tumore al pancreas oggi
Come spesso accade per molte altre patologie tumorali, la sopravvivenza dipende dallo stadio della malattia.
Un approccio strategico di un team, il miglioramento delle conoscenze oncologiche e quindi la disponibilità di farmaci più efficaci, o per lo meno di associazioni di farmaci più efficaci, ha cambiato notevolmente la prognosi di questa malattia in termini di aspettativa di vita nei vari stadi.
“Un malato metastatico che prima viveva 4-6 mesi, oggi vive nel 50% dei casi almeno 1 anno; un malato con una patologia localmente avanzata che prima viveva 10 mesi, oggi ne vive almeno 20; un paziente che viene sottoposto a intervento chirurgico e che prima viveva 16 mesi, oggi ne vive almeno 32. Purtroppo, però, l’unica cosa che non siamo riusciti ancora a cambiare è la percentuale di guarigione - asserisce -.
I miglioramenti, anche se a piccoli passi, avvengono tutti i giorni. Per la prima volta, l’aspettativa di vita nella popolazione generale affetta da adenocarcinoma, mettendo insieme tutti gli stadi di malattia, è arrivata, nei paesi occidentali, al 12% di sopravvivenza a 5 anni, dato ancora molto deludente, ma significativo se pensiamo che fino a 10 anni fa era il 6-7%. In termini percentuali, è stato un miglioramento stravolgente, anche se purtroppo per aumentare le percentuali di pazienti guariti la strada è ancora molto lunga.
Un altro aspetto importante è che questa malattia sarà probabilmente destinata a essere, entro il 2030, la seconda causa di morte per neoplasia nel mondo occidentale. Quindi con una popolazione che invecchia, con un fattore di rischio molto influente, è probabile che assisteremo anche ad un aumento dei soggetti affetti da questa malattia”.
La ricerca sul tumore al pancreas all’Ospedale San Raffaele
“Dal punto di vista della ricerca - conclude Falconi - l’Ospedale San Raffaele sta lavorando su 3 fronti:
- fronte chirurgico: si sta cercando di abbassare il rischio legato all’intervento con una presa in carico a 360° del paziente. Esiste un progetto finalizzato con un percorso che randomizza i pazienti a una pre-abilitation (periodo prima dell’intervento) e che ha come obiettivo il miglioramento delle condizioni del paziente prima che arrivi all’intervento, grazie anche a un monitoraggio attento delle metriche e degli outcomes;
- fronte oncologico-clinico: in cui si sta cercando di stabilire se una terapia fatta prima dell’intervento chirurgico, e la sua durata, possa in qualche modo dare un vantaggio rispetto a chi si sottopone a una chirurgia immediata o a una terapia oncologica incompleta. Questo progetto è seguito dell’équipe di Oncologia guidata dal prof. Michele Reni;
- fronte traslazionale: di cui il progetto più importante è finanziato da AIRC che, in questo momento, vede come centro dell’interesse la malattia metastatica del fegato, da metastasi da colon-retto e da metastasi da pancreas. Prelevando materiale da pazienti affetti dalla malattia, si sta andando a caratterizzare molecolarmente ricercando se esistano potenziali bersagli per effettuare successivamente terapie cellulari mirate. Il progetto, coordinato dalla prof.ssa Chiara Bonini, è ancora in corso.
Oltre a questo c’è il filone che tratta la parte endoscopica, guidata dai professori Paolo Giorgio Arcidiacono e Gabriele Capurso, in cui da pazienti affetti da malattia localmente avanzata, si sta cercando di prelevare cellule da profilare molecolarmente per valutare l’andamento della malattia alla diagnosi ed in corso di chemioterapia”.