COVID-19: uno studio del San Raffaele evidenzia che i pazienti più gravi intubati e sedati sono meno colpiti da problemi cognitivi e di memoria

PUBBLICATO IL 09 FEBBRAIO 2021

Dal reparto di Riabilitazione Covid-19 dell’IRCCS Ospedale San Raffaele le prime evidenze scientifiche sui disturbi cognitivi riscontrati nei pazienti ospedalizzati.

Uno studio, pubblicato sulla rivista PLOS ONE, mostra l’impatto del Covid-19 sulle funzioni cognitive nei pazienti degenti presso l’Unità di Riabilitazione Covid-19 infettivi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, dove sono stati ricoverati, ancora positivi ed infettivi, in una fase subacuta della malattia, a seguito del ricovero in Terapia Intensiva oppure nel reparto di Medicina Covid-19 e Malattie infettive.

A condurre la ricerca è la dottoressa Federica Alemanno, Responsabile del Servizio di Neuropsicologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, con il coordinamento del dottor Sandro Iannaccone, primario dell'Unità di Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori dell'IRCCS Ospedale San Raffaele. 

Lo studio ha identificato nell’80% dei casi la presenza di disturbi cognitivi (memoria, attenzione, orientamento) e nel 40% di depressione

Sorprendentemente i pazienti che nella fase acuta dell’infezione erano stati intubati e sedati risultano essere meno colpiti da problemi cognitivi e di memoria rispetto a coloro che erano stati ricoverati con il supporto solamente di una ventilazione non invasiva (ad es. casco CPAP) ed erano pertanto rimasti coscienti. 

Il follow-up a un mese dalla dimissione ospedaliera e a circa 3 mesi dall’esordio della malattia ha evidenziato inoltre che la maggior parte dei pazienti presenta ancora deficit cognitivi.

Commentano il dottor Iannaccone e la dottoressa Alemanno: «I nostri dati mostrano in modo certo la necessità di un intervento neuropsicologico riabilitativo precoce, quando ancora il paziente è positivo al Covid-19, ma non più in fase acuta.  

Ecco perché già durante i primi mesi della pandemia, il San Raffaele è stato il primo ospedale al mondo ad attivare un reparto di riabilitazione per i pazienti Covid-19 ancora infettivi, con lo scopo di recuperare le funzioni neurologiche, oltre che quelle motorie e respiratorie,  perse durante la fase acuta della malattia nel più breve tempo possibile» 

I risultati dello studio pubblicato su Plos One

Circa il 20% dei pazienti ricoverati per Covid-19 al San Raffaele, tra Terapia Intensiva, Medicina Covid-19 e Malattie Infettive, ha avuto poi bisogno di essere assistito presso l’Unità di Riabilitazione Covid-19 dell’Ospedale. Stiamo parlando, nel caso della prima ondata della pandemia, di circa 140 pazienti

Lo studio pubblicato su PLOS ONE ne ha coinvolti 87, selezionati nella fase sub-acuta della malattia (circa dieci giorni dopo la comparsa dei sintomi e ancora infettivi) e con un'età media di 67 anni.

Per l'analisi dei dati, i pazienti sono stati separati in 4 diversi gruppi, in base al tipo di assistenza respiratoria di cui hanno beneficiato nella fase acuta della malattia: dai pazienti più critici (intubati e ricoverati nell’Unità di Terapia Intensiva) a quelli meno critici, che non avevano ricevuto nessuna ossigenoterapia. 

Degli 87 pazienti, l'80% aveva deficit neuropsicologici e il 40% mostrava una depressione lieve-moderata. I pazienti che avevano beneficiato della ventilazione non invasiva avevano uno stato cognitivo maggiormente compromesso (memoria, attenzione, orientamento, funzioni visuo-spaziali) rispetto a chi, invece, era stato  sottoposto a sedazione e intubato. 

Al follow-up di un mese, oltre il 40% dei pazienti presentava comunque segni di disturbo da stress post-traumatico.

Le possibili cause

“La relativa riduzione dei disturbi cognitivi nei pazienti sedati e intubati suggerisce che una delle cause del disturbo cognitivo possa essere rappresentata dal vissuto in fase cosciente di tutto il percorso ospedaliero della malattia

Lo stress emotivo prolungato, i cambiamenti di ambiente connessi all’ospedalizzazione, il distacco dai familiari e l’età avanzata sembrano essere fattori rilevanti che influenzano negativamente lo stato cognitivo dei pazienti” commenta Federica Alemanno, primo autore dello studio.

L’importanza della riabilitazione precoce e del training cognitivo post-ricovero

“A distanza del picco di emergenza della prima ondata, oggi possiamo affermare con certezza l’importanza di un approccio neuropsicologico diagnostico e terapeutico precoce nei pazienti Covid-19 ospedalizzati. I risultati del nostro studio mostrano per la prima volta quanto frequentemente si possano osservare deficit cognitivi (a breve e a lungo termine) nei pazienti ricoverati e di come possano essere influenzati dai tipi di assistenza respiratoria, soprattutto nei pazienti anziani”, affermano Alemanno e Iannaccone.

“Poiché un numero elevato di pazienti mostrava ancora disturbi cognitivi e sintomatologia depressiva a un mese di follow-up, alle riflessioni sull’importanza di una diagnosi neuropsicologica e di training cognitivo precoci, si aggiunge anche un dato ulteriore sia sulla complessità della sintomatologia Long-Covid, sia sulla conseguente necessità di supporto psicologico e di training cognitivo anche a lungo termine nel post-ricovero, possibilmente attraverso l'uso di nuove tecnologie, come la telemedicina” conclude Alemanno.

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