Risonanza magnetica: una finestra sul cervello per comprendere le malattie neurodegenerative

PUBBLICATO IL 12 MARZO 2019

La sclerosi multipla (SM) è una malattia infiammatoria, demielinizzante e neurodegenerativa che colpisce quasi 3 milioni di persone in tutto il mondo, di cui oltre 100 mila solo in Italia. Benché non esista ancora una cura definitiva per questa patologia, le terapie sono diventate sempre più efficaci nel controllarla. Per garantire una diagnosi precoce – e intervenire così in modo tempestivo – comprendere sempre più a fondo i meccanismi che sono all’origine della malattia, nonché testare nuovi trattamenti, la risonanza magnetica si sta rivelando uno strumento essenziale. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Neurology fa il punto sull’uso della tecnologia nel campo della sclerosi multipla, sia in clinica che in ricerca, e riassume le ultime scoperte possibili grazie al suo impiego. A firmare il lavoro è un panel di esperti internazionali coordinati da Massimo Filippi, primario dell’unità operativa di Neurologia, direttore dell'Unità di ricerca in Neuroimaging Quantitativo dell’Ospedale San Raffaele, nonché professore ordinario e Direttore della scuola di Specializzazione in Neurologia presso l'Università Vita-Salute San Raffaele. L’attività svolta dal gruppo di Filippi nel campo della SM, in cui è leader a livello mondiale, si è già estesa ad altre patologie del sistema nervoso – come l’Alzheimer, il Parkinson, la SLA e le demenze frontotemporali – in cui la risonanza magnetica può giocare un ruolo altrettanto fondamentale.

La sclerosi multipla è una malattia in cui il sistema immunitario di chi ne è affetto attacca e danneggia la guaina mielinica che circonda l’assone dei neuroni e i neuroni stessi. Tutto questo pregiudica la corretta trasmissione del segnale nervoso, con alterazioni significative a livello motorio e cognitivo. Si tratta di una malattia complessa – che ha origine in un misto di predisposizione genetica e fattori ambientali – le cui cause e meccanismi di progressione rimangono ancora in buona parte da studiare e comprendere. La risonanza magnetica sta assumendo su questo fronte un ruolo imprescindibile. Grazie alla sua diffusione e al progresso tecnologico, questo strumento di imaging – in grado di scattare “fotografie” del cervello in base alla presenza di acqua nei tessuti e al flusso del sangue – sta contribuendo a comprendere come la malattia colpisca il sistema nervoso dei pazienti. I risvolti clinici sono sostanziali e molto rapidi: da nuovi indicatori per la diagnosi e la progressione della malattia alla possibilità di testare l’efficacia dei farmaci sul singolo paziente, il tutto in modo non-invasivo e con rischi minimi.

Lo studio pubblicato su Lancet Neurology fotografa i campi di rilievo di questo sforzo traslazionale, che sta cambiando la nostra comprensione della malattia. «Si è a lungo pensato che la sclerosi multipla colpisse solo la sostanza bianca, ovvero i tratti di connessione tra diverse aree cerebrali, ma oggi sappiamo che non è così: anche la sostanza grigia – dove si trovano i corpi dei neuroni – è colpita, con effetti ancora in parte da capire», spiega il professor Filippi. «Un altro elemento di sempre maggior interesse è l’osservazione del danno nel midollo spinale, che è centrale nella comparsa dei primi sintomi motori della SM e svolge sempre più un ruolo di primo piano nella diagnosi della malattia».

Accanto allo studio dei tessuti danneggiati un interesse sempre maggiore è rivolto verso i tessuti che al contrario vengono risparmiati dalla malattia e verso la loro capacità di controbilanciare il danno. «Stiamo cercando di capire il ruolo della plasticità cerebrale nel sopperire agli effetti provocati dalla malattia», continua il professor Filippi. «Ciò significa concentrarsi non solo sul tessuto malato, ma anche su quello sano. Non tutti i pazienti rispondono infatti allo stesso modo a un danno cerebrale: capire cosa permetta ad alcuni di mettere in campo le migliori strategie di resilienza – ottenendo così a parità di condizione patologica sintomi meno gravi – potrebbe aiutarci a contenere la disabilità clinica causata dalla SM».

La centralità del neuroimaging nel permettere una ricerca d’avanguardia e una diagnosi precoce, precisa e predittivanon vale solo per la sclerosi multipla, ma per tutte le malattie neurodegenerative. Il modello virtuoso avviato al San Raffaele sulla SM si è infatti negli anni esteso ad altre patologie, su cui sappiamo purtroppo ancora poco, come l’Alzheimer, la SLA o il Parkinson. Questo è stato possibile grazie anche al lavoro di due scienziate cresciute nel gruppo di Filippi: Maria Rocca per la sclerosi multipla e Federica Agosta per le malattie neurodegenerative. «Al centro rimane sempre una totale sinergia tra ricerca e clinica», conclude Filippi. «In quello spirito traslazionale che caratterizza il nostro istituto e che ci ha permesso di fare la differenza, non solo in campo scientifico, ma in quello molto più importante della qualità della vita di chi oggi soffre di queste malattie».

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