Neurodivergenza: significato, tipologie e come si arriva alla diagnosi

Neurodivergenza: significato, tipologie e come si arriva alla diagnosi

PUBBLICATO IL 10 SETTEMBRE 2025

Neurodivergenza: significato, tipologie e come si arriva alla diagnosi

PUBBLICATO IL 10 SETTEMBRE 2025

Scopri il Servizio di Psicologia Clinica dell'Età Evolutiva del San Raffaele Turro

Il termine neurodivergenza indica un insieme di condizioni, come autismo, ADHD, dislessia e altre forme di funzionamento neurologico atipico, in cui il cervello elabora, apprende e segue modalità di funzionamento differenti rispetto alla maggioranza. 

Negli ultimi anni, la parola “neurodivergenza” è entrata nel dibattito pubblico e scientifico, ma non sempre se ne conosce il significato reale. La dott.ssa Valentina Tobia, Professore associato in psicologia dello sviluppo presso la Facoltà di Psicologia dell’ Università Vita-Salute San Raffaele e riferimento per le valutazioni cognitive di DSA e ADHD all’Ospedale San Raffaele Turro, chiarisce cosa si intende per neurodivergenza, quali sono i principali segnali da non sottovalutare, come avviene la diagnosi e quali trattamenti o strategie di intervento possono migliorare la qualità della vita. 

 

Cos’è la neurodivergenza?

“La storia del termine ‘neurodivergenza’ inizia negli anni ‘90, all’interno di movimenti che si occupavano di diritti nell’ambito dello spettro autistico. L’idea centrale era quella di valorizzare la diversità del funzionamento neurologico umano, invece di trattarlo come un disturbo - spiega la dott.ssa Tobia - . 

Negli anni l’uso del termine si è ampliato e oggi la neurodivergenza fa riferimento a diverse modalità di funzionamento del cervello, che si distinguono dal funzionamento ‘tipico’ (quello più comune) nel modo di:

  • interagire;
  • relazionarsi;
  • percepire;
  • ragionare;
  • apprendere”. 

La neurodivergenza, dunque, non è una patologia e invita a un cambio di prospettiva: dal concetto di “anomalia” a quello di inclusione, di valorizzazione delle differenze e di benessere quotidiano nella vita di chi ha un funzionamento di questo tipo.

 

Tipi di neurodivergenza 

La neurodivergenza non è una diagnosi (non corrisponde a una categoria diagnostica), ma può identificare il funzionamento neuropsicologico di persone caratterizzate, ad esempio, da: 

  • disturbi dello spettro autistico: le persone possono avere difficoltà più o meno lievi nella comunicazione e interazione sociale, interessi ristretti e comportamenti ripetitivi; 
  • ADHD (attention deficit hyperactivity disorder): l’acronimo in italiano sta per Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività e si manifesta con impulsività, disattenzione e iperattività; 
  • DSA (disturbi specifici di apprendimento): tra cui la dislessia (difficoltà nella lettura), discalculia (difficoltà nel calcolo), disortografia e disgrafia (difficoltà nella scrittura); 
  • plusdotazione: caratterizzata da un potenziale cognitivo superiore alla media; 
  • Sindrome di Tourette: le manifestazioni principali sono tic motori e vocali involontari; 
  • disprassia: difficoltà nella pianificazione e nell’esecuzione delle azioni e dei movimenti.

 

Neurodiversità: sintomi e segnali da non trascurare

“I segnali di uno sviluppo neurodivergente che si discosta dalle traiettorie tipiche sono diverse a seconda che la persona sia in età prescolare (3-6 anni), in età scolare (6- 18 anni) o in età adulta - spiega la dott.ssa Tobia -. Nei bambini piccoli bisogna prestare attenzione allo sviluppo della comunicazione e del linguaggio, come entrano in relazione con gli altri, sia dal punto di vista verbale sia non verbale. 

Per esempio alcuni bimbi possono: 

  • non cercare la relazione;
  • non cercare lo sguardo degli altri;
  • non parlare;
  • instaurare modalità di relazione poco adeguate (es. rifiutare o infastidirsi per il contatto fisico o, al contrario, avvicinarsi troppo,...);
  • giocare in maniera atipica o non adeguata all’età”.

I primi a notare segnali che possono far sospettare uno sviluppo atipico sono i genitori stessi che ne parlano con il pediatra, oppure gli insegnanti al nido che riescono a cogliere anche piccoli particolari grazie al confronto con gli altri bambini. 

“Man mano che i bambini crescono e arrivano a frequentare la scuola primaria, dove la complessità delle richieste diventa sempre più elevata - aggiunge la specialista -  bisogna fare attenzione agli aspetti legati all’apprendimento o ad eventuali difficoltà attentive.

In adolescenza, invece, diventa rivelatrice la parte relazionale con i pari: spesso i ragazzi con neurodivergenza vengono esclusi perché hanno modalità che risultano bizzarre, inadeguate rispetto alla ‘norma’. 

Infine, per quanto riguarda gli adulti, possono avere interessi molto ristretti, fatiche relazionali che si ripercuotono sul lavoro o che possono rendere difficile l’individuazione di una strada professionale. In questi casi diventa centrale la storia personale, che deve essere ricostruita sin dall’infanzia e cercare sin da allora eventuali segnali che possano far pensare ad una neurodivergenza. Il funzionamento atipico, infatti, non è legato ad una fase specifica della vita, ma caratterizza la persona a livello costituzionale, sin dalla nascita”, argomenta la psicologa. 

 

Percorsi di valutazione nei casi di neurodiversità

Nel caso dei bambini, spesso il percorso di valutazione è suggerito dal pediatra sulla base di segnalazioni della famiglia o di un’osservazione diretta di comportamenti ‘sospetti’. 

“Si inizia con un percorso di valutazione multidisciplinare che coinvolge professionisti quali neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti - racconta la dott.ssa Tobia - .  

Ottenuta la diagnosi che accerta un funzionamento di tipo neurodivergente, si valuta un piano terapeutico che può variare in base al tipo di difficoltà e condizione, all’offerta del territorio e dei servizi educativi disponibili”, continua la dottoressa. 

La diagnosi, come sottolinea la specialista, è uno strumento importante di cui gli specialisti possono avvalersi, ma è fondamentale non abusarne. 

Si dovrebbe dare una certificazione solo se le caratteristiche della neurodivergenza sono in linea con quelle di uno o più disturbi neuroevolutivi ed interferiscono effettivamente con la vita quotidiana, causando malessere e difficoltà  - riferisce la psicologa-  . 

La diagnosi è utile in caso di supporto, per esempio, per ottenere l’insegnante di sostegno e/o l’educatore a scuola, per la stesura del PEI (Piano Educativo Individualizzato) o del PdP (Piano Didattico Personalizzato) utili a favorire l’inclusione didattica di studenti con bisogni educativi speciali. Tutti strumenti per far sì che la scuola risponda efficacemente alle diverse esigenze di apprendimento.

Esistono, invece, situazioni dove, a chiusura del percorso di valutazione, basta dare una spiegazione del proprio profilo di funzionamento per avere un beneficio a livello psicologico, come succede talvolta nel caso degli adulti”, continua l’esperta. 

 

Neurodiversità e condizioni correlate

La neurodivergenza può predisporre o portare allo sviluppo di altre condizioni come depressione, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), stati d’ansia etc.? 

“Sicuramente c’è un’associazione più frequente tra un funzionamento neurologico atipico e l’insorgenza di varie condizioni psichiatriche o psicologiche, rispetto alla popolazione con sviluppo tipico. 

Ad esempio, dal confronto di dati raccolti sull’impatto che la neurodivergenza ha avuto su studenti con DSA è emerso che la percentuale dei disturbi psicopatologici (ansia, depressione…) è molto più elevata nelle persone che hanno ricevuto la diagnosi in adolescenza o addirittura da adulti, contrariamente a chi l’ha ricevuta in età prescolare o scolare - spiega la dott.ssa Tobia - . 

Chi riceve la diagnosi da bambino, infatti, sviluppa presto strategie di adattamento efficaci e ha un funzionamento psicologico a lungo termine migliore. Arrivare ad una diagnosi da grande, invece, spesso comporta lunghi periodi di sofferenza e disagio, durante i quali ci si interroga sul perché di tante difficoltà, arrivando a sentirsi sbagliati”. 

 

Neurodivergenza e apprendimento

La neurodivergenza e l’apprendimento rappresentano un legame che richiede consapevolezza, flessibilità e strategie su misura. 

“I bambini neurodivergenti spesso apprendono in modi diversi e affrontano difficoltà specifiche: problemi relazionali che impattano sull’oralità, difficoltà nella letto-scrittura (dislessia, disgrafia), o scarsa capacità di mantenere l’attenzione a lungo (ADHD) - spiega la specialista - . 

Per rispondere a queste esigenze, è fondamentale una formazione adeguata per gli insegnanti, capaci di adattare sia il metodo didattico, sia le modalità di valutazione alle caratteristiche individuali di ciascun bambino”.

Tra le metodologie inclusive più efficaci vi sono:

  • cooperative learning, un metodo didattico che favorisce il lavoro tra gli studenti in piccoli gruppi, al fine di favorire lo sviluppo di competenze trasversali come la comunicazione, il problem solving e la collaborazione;
  • peer tutoring, una metodologia didattica che prevede che studenti con diversi livelli di competenza si aiutino reciprocamente;
  • flipped classroom, una metodologia che capovolge il tradizionale approccio all’insegnamento. A casa gli alunni studiano individualmente tramite il materiale fornito dall’insegnante, in classe il tempo viene impiegato per la condivisione e discussione di ciò che ogni studente ha imparato. 

“Tutte queste metodologie, di cui la scuola oggi si serve pienamente, favoriscono ambienti di apprendimento collaborativi, stimolanti e rispettosi delle differenze - aggiunge la dott.ssa Tobia che sottolinea -: l’aspetto educativo non è tutto: la relazione all’interno della classe è un pilastro dell'apprendimento: il sentirsi accettati da insegnanti e compagni rafforza l’autostima e l’efficacia dell’apprendimento stesso”. 

 

Inclusione e valorizzazione delle differenze cognitive

Come utilizzare al meglio le differenze cognitive ed emotive all’interno dei vari contesti sociali affinché queste diventino ricchezza e non ostacolo?

“Soprattutto nell’ambito dell’apprendimento, a scuola e fuori, ci sono vari fronti su cui lavorare: 

  • nelle classi è utile fare leva sulla conoscenza e sull’esposizione. Le classi che accolgono anche bambini con autismo, con disabilità o con altre neurodivergenze, sono un’occasione di crescita per gli altri bambini, perché questi ultimi imparano ad accettare in maniera più naturale la diversità;
  • nell'ambito della valutazione, da parte di chi redige i documenti che descrivono il funzionamento neuropsicologico del bambino, è importante mettere al centro i punti di forza. E’ da questi, infatti, che l’insegnante o l’educatore devono partire per costruire un metodo per l’apprendimento. Nei casi più gravi può essere difficile, ma bisogna scovarli, capire come usarli nel quotidiano. È importantissimo rendere orgogliosi le persone con neurodivergenza delle proprie caratteristiche”, conclude la dottoressa.