Trombosi in gravidanza: come riconoscerla, quali sono i rischi e come si cura
PUBBLICATO IL 17 GENNAIO 2025
Chi soffre di trombosi può avere figli? Sì, non c’è alcun divieto nelle pazienti con storia di trombosi o con terapie pregresse di desiderare e portare avanti una gravidanza.
È essenziale, però, che la donna sia seguita da un team multidisciplinare coordinato da ginecologi esperti, per valutare durante le varie fasi della gravidanza i rischi correlati, con la collaborazione di un medico ematologo specialista di coagulazione e di un chirurgo vascolare (o di un medico angiologo) specializzato in trombosi.
Ne parliamo col professor Domenico Baccellieri, direttore del programma di diagnosi, terapia e ricerca delle patologie venose (Vein Center) presso l’Unità operativa di Chirurgia vascolare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, diretta dal professor Roberto Chiesa, e Associato di Chirurgia vascolare presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Cosa comporta la trombosi in gravidanza
L’eventuale comparsa di una trombosi durante la gravidanza è un evento serio, che può comportare rischi per feto e puerpera. Per questo motivo, la diagnosi precoce diventa essenziale, al fine di evitare complicanze severe quali, per esempio, l’embolia polmonare, una patologia potenzialmente letale.
A tutte le pazienti ricordiamo che è importante riconoscere i sintomi e monitorare eventuali dolori irradiati agli arti inferiori, che si associano a un vistoso gonfiore.
La dolenzia agli arti e il sovraccarico con edema, infatti, è una costante della gravidanza, a causa di un rallentato scarico venoso e linfatico generato dalla pressione che viene esercitata dal feto nella cavità addominale, ma il quadro si inasprisce severamente in caso di occlusione trombotica delle vene.
Quali sono i primi sintomi di una trombosi in gravidanza?
I primi sintomi di una trombosi sono:
- pesantezza ingravescente;
- dolore;
- successivo gonfiore dell’arto.
A questi, possono associarsi successivamente segni clinici come arrossamento e incremento della temperatura locale.
Spesso, inoltre, l’edema significativo porta progressivamente a una impotenza funzionale a utilizzare l’arto, con dolore localizzato nelle parti interessate.
In caso di complicanza embolica, può presentarsi:
- dolore toracico;
- difficoltà respiratorie;
- tosse;
- aumento della frequenza cardiaca e respiratoria.
Come si diagnostica
Accanto alla valutazione clinica, essenziale per il sospetto di trombosi, esiste un esame di rapida esecuzione e con altissima sensibilità, l’ecocolordoppler venoso: attraverso questa tecnica non invasiva, che sfrutta gli ultrasuoni (assolutamente non dannosi in gravidanza), si può visualizzare il sistema venoso superficiale e profondo dell’arto, per confermare la presenza di trombi all’interno delle vene e valutarne l’estensione. Spesso, l’esame consente al medico di ipotizzare il periodo di insorgenza dei sintomi.
In caso di estensione prossimale della patologia, può essere eseguita una AngioRMN (risonanza magnetica angiologica) per studiare i vasi iliaci e la vena cava inferiore.
Le complicanze e i rischi per il feto e la mamma
Il mancato riconoscimento di una trombosi venosa profonda può determinare un:
- incremento della sua estensione;
- aumento delle vene coinvolte nel processo.
Quando le vene addominali sono interessate da un fenomeno trombotico, si innalza il rischio di complicanze per il feto (fino all’interruzione della gravidanza) e per la puerpera: la complicanza sicuramente più temibile è l’embolia polmonare, che si verifica quando i coaguli presenti all’interno del sistema venoso profondo si distaccano, attraverso il sistema della vena cava, raggiungono il cuore destro e successivamente le arterie polmonari.
Se il fenomeno è massivo, il cuore destro incontrerà grosse resistenze, tanto da poter andare incontro a una sofferenza funzionale, fino ad arrivare, in casi rari, a una emergenza vera e propria, l’arresto cardiocircolatorio.
È possibile prevenirla?
Uno stile di vita attivo durante la gravidanza, con un’adeguata idratazione da parte della futura mamma, è sicuramente consigliato. È poi importante evitare l’eccessivo sovrappeso, monitorando costantemente con il ginecologo curante tutte le fasi della gestazione.
Non è possibile agire sul rischio genetico, ovvero sulla predisposizione alle malattie della coagulazione che incrementano il rischio di trombosi, ma, in caso di precedenti trombotici in famiglia, è buona norma consultare un ematologo specialista in coagulazione, per conoscere gli opportuni accorgimenti profilattici e terapeutici e predisporre gli eventuali approfondimenti diagnostici al fine di escludere la trombofilia, un’alterazione della normale coagulazione del sangue che non va trascurata.
Come curare la trombosi in gravidanza
Nella maggior parte dei casi la trombosi in gravidanza può essere curata con eparina a basso peso molecolare, somministrata a dose scoagulante. Questo farmaco è assolutamente compatibile con la crescita del feto, poiché non attraversa la placenta e, pertanto, non interferisce sullo sviluppo.
A questa terapia si associa sempre l’utilizzo di calze a compressione graduata, sempre prescritte da uno specialista competente.
Solo in casi isolati di trombosi molto estese, che minacciano la vita della puerpera, possono essere richieste procedure di tromboaspirazione endovascolare sotto guida ultrasonografica.