Covid: la gara tra le varianti e l’importanza dei vaccini

PUBBLICATO IL 08 OTTOBRE 2021

L’emergere di nuove varianti è inevitabile. Il Prof. Burioni spiega quanto dovremmo preoccuparci e perché vaccinarsi è il modo migliore per stare tranquilli

In molti paesi, l’efficacia dei vaccini e un alto tasso di popolazione vaccinata a ciclo completo (in Italia più del 72%) stanno permettendo, pur con le dovute cautele, di tornare alla normalità: dai ristoranti ai musei, dai teatri ai cinema alle palestre, la vita comincia ad assomigliare a quella pre-pandemica, pur con l’accortezza di mantenere il distanziamento e indossare la mascherina quando richiesto.

In questo scenario, per la prima volta sostanzialmente speranzoso, è comprensibile la paura di chi teme l’arrivo di una variante del virus capace di sfuggire alla protezione dei vaccini, ancora più contagiosa di quelle già oggi in circolazione o responsabile di una malattia più grave. 

Ma quanto è giustificata dai fatti questa paura? Chi si occupa di monitorare le varianti e quando dovremmo preoccuparci? Qual è il ruolo della campagna vaccinale nel promuovere l’emergere di nuove varianti? 

Ne parliamo con il prof. Roberto Burioni, responsabile del Laboratorio di Virologia e Microbiologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario di microbiologia dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano.

 

Cosa sono le varianti virali e da dove vengono

Le varianti sono la conseguenza inevitabile dell’evoluzione di un virus. Rispetto agli esseri umani o ad altri animali, i virus sono infatti sistemi biologici che si riproducono con velocità e frequenza impressionanti e che per questo evolvono in modo straordinariamente più veloce

“Quando infettano un organismo, i virus sfruttano le cellule dell’ospite per produrre milioni di copie di sé ogni secondo: i ricercatori stimano che nella fase di picco dell’infezione, una persona abbia al suo interno tra un miliardo e cento miliardi di copie del genoma di SARS-CoV-2 - spiega Roberto Burioni -.

E come in tutti i processi di copiatura, possono essere fatti degli errori. Le varianti di un virus non sono altro che questo: versioni diverse del virus che risultano dalla produzione di mutazioni puntiformi nel RNA virale durante la fase di replicazione.”

Ovviamente non tutte le varianti di SARS-CoV-2 rispetto a quella maggiormente diffusa (in questo momento, la Delta), sono degne di particolare interesse. La maggior parte di queste non vengono neppure identificate, perché hanno vita troppo breve (non sono competitive rispetto alle altre) e il sistema di monitoraggio è limitato: non sequenziamo l’RNA virale di ogni tampone positivo, costerebbe troppi soldi e troppo tempo.

“Bisogna imparare a discutere con maggiore lucidità anche di quelle varianti che sopravvivono abbastanza a lungo da essere identificate nei centri di ricerca, segnalate agli organi di monitoraggio dell’OMS e per questo riprese dai giornali con toni allarmistici, spesso del tutto ingiustificati,” osserva Burioni.

 

Come sono classificate le varianti e chi le monitora

A monitorare la distribuzione globale delle varianti di SARS-CoV-2 è la GISAID Initiative, un’impresa scientifica nata inizialmente per raccogliere e condividere i dati di sequenziamento del virus dell’influenza e diventata, a detta della stessa OMS, un vero e proprio game changer durante la pandemia Covid-19.

Sulla base dei dati GISAID, l’OMS stila poi 2 liste, molto diverse tra loro: 

  • la lista delle cosiddette varianti di interesse;
  • la lista delle varianti preoccupanti

Le varianti di interesse

“In questa lista sono incluse le varianti che presentano mutazioni genetiche associate, almeno teoricamente, a una maggiore trasmissibilità, virulenza o capacità di sfuggire alla protezione immunitaria dei vaccini. Queste varianti devono anche aver mostrato capacità di trasmissione comunitaria, ovvero una trasmissione così intensa da non poter ricostruire le catene di contagio in modo semplice - spiega Roberto Burioni -. 

Si tratta in diversi casi di varianti che potrebbero diventare una minaccia, ma ancora non lo sono: innanzitutto perché l’effetto combinato di diverse mutazioni genetiche non è facile da prevedere nel mondo reale e poi perché potrebbero dimostrarsi poco competitive e non diventare dominanti.

Le varianti ‘preoccupanti’

Le varianti della lista di interesse per cui viene poi dimostrata una maggiore trasmissibilità, virulenza o capacità di sfuggire, anche parzialmente, all’immunità prodotta dai vaccini o da altre misure di contenimento vengono inserite nella lista ‘variants of concern’ ovvero, letteralmente, la lista delle varianti preoccupanti.

“Monitorare questi due insiemi di varianti è fondamentale, perché ci permette di prepararci e anticipare la pandemia, invece che essere presi in contropiede.”

 

Quali varianti sono sotto osservazione in questo momento

Le varianti considerate ‘preoccupanti dall'OMS in questo momento sono le seguenti:

  • Variante Alfa: in origine chiamata variante inglese, è stata la prima a diventare dominante globalmente grazie a una trasmissibilità di oltre il 50% maggiore rispetto al coronavirus originale. Oggi è ormai quasi sparita, soppiantata a sua volta dalla variante Delta (che oggi in Italia conta più del 98% dei casi);
  • Varianti Beta e Gamma: entrambe posseggono, in aggiunta rispetto alla Alfa, 2 mutazioni che sembrano, almeno sulla base di dati preliminari, ridurre lievemente l’efficacia dei vaccini già in commercio;
  • Variante Delta: attualmente rappresenta la variante di gran lunga dominante, con una trasmissibilità che è più del doppio della Alfa. L’efficacia dei vaccini rimane altissima contro la Delta, soprattutto nel proteggere dall’ospedalizzazione e dalla morte, purché somministrati in dose completa.

 

Variante Lambda e variante Mu

Le varianti di interesse, invece, sotto i riflettori da meno tempo, sono la lambda e la mu, entrambe con mutazioni che potrebbero essere alla base di una riduzione di efficacia degli anticorpi, sia quelli prodotti da infezione naturale che dai vaccini. Ecco perché vengono tenute sott’occhio, sebbene si tratti di dati preliminari e ottenuti in vitro

“Evidenze chiare di come si possano comportare queste due varianti nel mondo reale, a livello sia epidemiologico sia clinico, scarseggiano, perché si tratta di varianti diffuse solo a livello regionale, almeno per ora. Fare solidi studi di follow-up delle infezioni in queste condizioni, capaci di produrre dati davvero informativi, è difficile - chiarisce Roberto Burioni -. 

Fino a quando non si avranno più informazioni e soprattutto non sarà chiaro il potenziale di queste varianti di dominare la progressione della pandemia, non c’è motivo di pensare al peggio.”

 

Perché vaccinarsi è fondamentale 

Vaccinarsi è fondamentale innanzitutto perché l’alternativa, soprattutto vista l’alta trasmissibilità delle varianti in circolo, soprattutto la Delta, è ammalarsi, con il rischio di finire in ospedale e di avere conseguenze a lungo termine ancora oggetto di studio - afferma Burioni -. 

Ma è anche fondamentale per ridurre la circolazione del virus e quindi l’emergere di nuove varianti. Un risultato che possiamo raggiungere solo garantendo l’accesso ai vaccini anche ai paesi a medio e basso reddito e vaccinandosi nelle dosi raccomandate: una protezione solo parziale, che permette comunque di ammalarsi in forma lieve, facilità l’emergere di nuove varianti resistenti.”

Tutto questo, monitoraggio delle varianti incluso, è fondamentale per ridurre al minimo la possibilità che generino nuove versioni del coronavirus in grado di riportarci indietro ai primi mesi del 2020. Detto questo, non è affatto scontato che ciò possa accadere.

“Non sappiamo se emergeranno mai varianti capaci di sfuggire agli attuali vaccini a tal punto da riportarci al punto di partenza. Non sappiamo neanche se esistano delle combinazioni di mutazioni sostenibili per il virus (che cioè gli garantiscano stabilità, infettività e trasmissibilità) in grado di evadere la risposta immunitaria in modo sostanziale - conclude Roberto Burioni -. 

Se ciò accadesse, potremo sempre aggiornare i vaccini attualmente a disposizione, un’operazione ancora più immediata ed economica con la nuova tecnologia a mRNA. Insomma, è grazie alla scienza se oggi possiamo seguire l’evoluzione della pandemia con la stessa quantità di attenzione e fiducia.”

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