Giornata mondiale della tubercolosi: sintomi, diagnosi e approcci di cura

Giornata mondiale della tubercolosi: sintomi, diagnosi e approcci di cura

PUBBLICATO IL 24 MARZO 2025

Giornata mondiale della tubercolosi: sintomi, diagnosi e approcci di cura

PUBBLICATO IL 24 MARZO 2025

Il 24 marzo si celebra la Giornata mondiale della tubercolosi, che ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su una malattia che ha ancora un’ampia diffusione mondiale ed è annoverata tra le prime 10 cause di morte in tutto il mondo.

A questo proposito, abbiamo intervistato la dottoressa Daniela Maria Cirillo, vice-direttrice della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive e Group Leader dell’unità di Patogeni batterici emergenti dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, che da circa trent’anni si occupa di microbiologia clinica, meccanismi molecolari della resistenza ai farmaci e di ricerca di nuovi approcci diagnostici per la tubercolosi.

 

Cos’è la tubercolosi e quanto è diffusa 

La tubercolosi è una malattia infettiva causata da Mycobacterium tuberculosis, che come indica il nome stesso, è un micobatterio, ossia un particolare genere di batterio che ha una parete ricca di lipidi che lo rende resistente all’ambiente e agli antibiotici. 

“Spesso si pensa che la tubercolosi colpisca solo l’apparato respiratorio, che rimane certamente il bersaglio più colpito, ma in realtà la malattia può interessare ogni organo e apparato - afferma la dottoressa Cirillo -. Si tratta di una patologia contagiosa, che si trasmette per contatto attraverso le goccioline respiratorie che la persona affetta espelle tossendo o semplicemente parlando”. 

Sebbene maggiormente diffusa nei paesi del Sud-Est Asiatico e dell’Africa, la tubercolosi è presente in tutto il mondo. Ogni anno si contano 10 milioni di nuovi infetti e circa il 5-10% di essi sviluppa la malattia, che può rivelarsi mortale, se non adeguatamente trattata: i dati di fine ottobre 2024 della World Health Organization (WHO) indicano che nel 2023 circa 1,25 milioni di persone in tutto il mondo sono morte di tubercolosi, che è la malattia che conta più decessi per singolo patogeno, cioè l’agente responsabile della sua insorgenza. 

Il rischio di progressione dall’infezione alla malattia è molto più alto nei soggetti esposti che sono immunodepressi, ossia che presentano scarse difese immunitarie.

 

Come si manifesta

Un aspetto critico della malattia riguarda la sua sintomatologia. I soggetti malati possono: 

  • manifestare alcuni sintomi, come tosse, febbre o dolore toracico
  • rimanere anche asintomatici

“Abbiamo sempre pensato che questa malattia rimanesse prima in fase ‘di infezione’ e poi progredisse diventando sintomatica, e dunque il soggetto che comincia a tossire è il soggetto che effettivamente può infettare - afferma Cirillo-.

Invece, esistono casi di tubercolosi potenzialmente infettiva in soggetti ‘sani’ dal punto di vista sintomatico, ma in cui sono presenti lesioni evidenziabili con indagini radiologiche”. 

Dato che questi soggetti non manifestano alcun sintomo associabile a una malattia, essi non vengono diagnosticati, ma continuano a infettare: “È dunque indispensabile prestare grande attenzione per individuare i casi di ‘tubercolosi asintomatica’, facili da trattare, ma che rappresentano un rischio per la comunità”.

 

Come si diagnostica

Oggi la diagnosi di infezione tubercolare solitamente avviene utilizzando il test di Mantoux. Esso consiste nell’iniezione nello strato profondo della pelle della tubercolina, un derivato proteico ottenuto dal batterio della tubercolosi e che provoca una risposta immunitaria localizzata nelle persone che sono state precedentemente infettate dai micobatteri. 

La diagnosi di infezione tubercolare può avvenire anche tramite il test IGRA, acronimo di Interferon Gamma Release Assay (dall’inglese, Test di rilascio dell’interferone gamma). Il test rileva la presenza nel sangue dell’interferone gamma, una proteina prodotta dai linfociti, cellule del sistema immunitario, in risposta alla presenza di M. tuberculosis

Tuttavia, questi test rilevano gli individui che sono stati effettivamente esposti al batterio, senza dire nulla sulla progressione della malattia. 

“Attraverso i test sopra descritti noi possiamo capire soltanto chi tra gli esposti ha montato una risposta immunitaria acquisita contro il batterio - afferma la dottoressa Cirillo -. Tuttavia, nella maggior parte degli infetti, il sistema immunitario riesce a eradicare i micobatteri e dunque a impedire lo sviluppo della malattia”. 

Non abbiamo dunque modo di rilevare chi, tra gli infetti, sia a rischio di progressione della malattia e chi invece, avendo eradicato i micobatteri, rimarrà in salute a meno che non venga nuovamente esposto.

La diagnosi della malattia tubercolare, invece, si basa sull’identificazione dei micobatteri mediante: 

  • coltura (un metodo di crescita selettiva di uno specifico tipo di microorganismo); 
  • alcune tecniche molecolari, come il sequenziamento degli acidi nucleici (DNA, RNA) che consente di determinare l’ordine esatto dei nucleotidi, le loro unità fondamentali. 

 

Prospettive terapeutiche e la tubercolosi multiresistente

Data l’inesistenza di un test in grado di rilevare i soggetti infettati che non svilupperanno la malattia, gli approcci terapeutici per l’infezione tubercolare si fondano sulla cosiddetta terapia preventiva, che raccomanda la somministrazione di un regime terapeutico con i farmaci isoniazide e rifampicina per una durata di 3 mesi. 

Tale trattamento viene indirizzato alle persone che sono state esposte al batterio tubercolare e che hanno un maggiore rischio di sviluppare la malattia, come i pazienti immunodepressi.

“Questo è un approccio preventivo, quindi trattiamo 10 pazienti per prevenire solo 1 caso. Naturalmente, questo approccio non è possibile nei Paesi dove l’incidenza della malattia è molto alta, perché dovremmo estendere questo trattamento a molti soggetti, senza però che vi siano sufficienti risorse disponibili” afferma la dottoressa Cirillo. 

È esattamente per questo motivo che sarebbe necessario avere a disposizione dei test in grado di predire chi svilupperà la malattia, che in alcuni soggetti può progredire molto rapidamente e risulta difficile da diagnosticare, come nei bambini. 

Nei paesi ad alta incidenza e sempre a scopo preventivo, infatti, ai bambini appena nati viene somministrato il vaccino BCG, il cui nome deriva dal Bacillo di Calmétte e Guerin, un micobatterio derivante dal ceppo (un gruppo di microorganismi che condivide simili caratteristiche genetiche) della tubercolosi bovina.

Il trattamento della forma polmonare della tubercolosi

La malattia tubercolare, nella sua classica forma polmonare, va invece trattata con 4 farmaci per una durata di almeno 4-6 mesi. 

Un aspetto problematico in ambito terapeutico riguarda la resistenza ai farmaci: a seguito di alcune mutazioni genetiche nel loro genoma, i batteri, anche quelli tubercolari, possono diventare resistenti  e dunque sopravvivere in presenza di un agente antibatterico. 

“Questa è la ragione per cui nessuno tratterebbe la tubercolosi con un singolo farmaco, perché verrebbe selezionata la popolazione batterica in grado di sopravvivere all’azione antibiotica. Si usano infatti 4 farmaci nella prima fase intensiva del trattamento, che dura 2 mesi, e 2 nella seconda fase, che invece ha una durata di 4 mesi”. 

Il problema si complica quando insorgono mutazioni che rendono i ceppi resistenti alla rifampicina, farmaco chiave per il trattamento sia dell’infezione sia della malattia.

“In questo caso, si parla di tubercolosi resistente alla rifampicina; se a questa si aggiunge anche la resistenza all’isoniazide, allora si parla di tubercolosi multiresistente o MDR (Multidrug-Resistant Tubercolosis)” afferma Cirillo. 

L’approccio terapeutico per pazienti con tubercolosi MDR è recentemente cambiato: “Fino a un paio di anni fa, i pazienti con tubercolosi multiresistente venivano trattati per ben 2 anni con farmaci estremamente tossici e con un tasso di successo abbastanza basso, attorno al 50-60%”. 

Negli ultimi 2 anni, sono stati sviluppati nuovi farmaci che consentono il cosiddetto trattamento BPaLM, cioè a base di bedaquilina, pretomanid, linezolid e moxifloxacina. Questo regime terapeutico dura solo 6 mesi e, soprattutto, prevede che i farmaci siano assunti per via orale, aumentando così la capacità dei pazienti di aderire alle prescrizioni terapeutiche.

Tuttavia, le mutazioni genetiche di batteri avvengono molto più rapidamente rispetto ai tempi con cui possiamo avere un nuovo farmaco. Per questo motivo, “mentre la nostra diagnostica si è basata sull’identificazione delle mutazioni per la resistenza ad alcuni farmaci, come rifampicina e isoniazide, oggi purtroppo non abbiamo a disposizione test diagnostici adatti per rilevare la resistenza alla bedaquilina, che in alcuni paesi raggiunge fino il 30% dei soggetti con tubercolosi multiresistente”.

 

L’importanza della diagnostica molecolare

Dal problema della resistenza antimicrobica emerge la necessità di avere una diagnostica che sia in grado di rivelare le mutazioni genetiche responsabili della resistenza antimicrobica, in modo da prescrivere il farmaco più efficace. 

Questa esigenza si può soddisfare con un approccio diagnostico molecolare che sfrutta le tecniche di sequenziamento di nuova generazione per identificare la specifica mutazione responsabile di un certo tipo di resistenza del batterio che causa l’infezione. 

“In questo modo, se si conosce il tipo di resistenza specifico del ceppo batterico che ha causato la malattia in corso, è possibile per il medico infettivologo adeguare in maniera specifica la terapia antibiotica, in modo che sia a misura del patogeno e del paziente”, spiega la dottoressa Cirillo.  

 

Nuove opzioni terapeutiche: lo studio clinico internazionale

Data la gravità della malattia e il problema della resistenza antimicrobica, la ricerca si impegna nel trovare nuove opzioni per il trattamento della tubercolosi. 

In quest’ottica, un articolo scientifico pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine nel gennaio di quest’anno riporta i risultati di studio clinico internazionale che ha valutato l'efficacia di 5 diversi regimi antibiotici per il trattamento della tubercolosi resistente alla rifampicina, ma sensibile ai fluorochinoloni, una classe di antibiotici tra cui la moxifloxacina, che viene impiegata nel BPaLM per il trattamento della tubercolosi multiresistente. 

Lo studio ha coinvolto 754 pazienti, di età pari o superiore a 15 anni: 130 di essi sono stati trattati con la terapia standard, mentre i rimanenti 624 sono stati sottoposti a uno dei 5 regimi sperimentali. I regimi, della durata di 9 mesi ciascuno, hanno previsto la diversa combinazione di alcuni farmaci, in particolare bedaquilina, delamanid, clofazimina, linezolid, levofloxacina, moxifloxacina e pirazinamide.

I risultati indicano che questi regimi hanno un'efficacia non inferiore alla terapia standard, con minor frequenza degli effetti collaterali, che sono stati più frequenti in una frazione di pazienti sottoposti alla terapia convenzionale, piuttosto che nei pazienti trattati con uno dei 5 regimi sperimentali. 

“L’obiettivo dello studio è fornire alternative alle persone malate che non possono sottoporsi al regime terapeutico BPaLM. 

Avendo a disposizione pochi dati sull’impiego del pretomanid sui bambini e le donne incinte, il BPaLM, che si avvale anche di questo farmaco, non è indicato per queste persone - commenta Cirillo -.

Lo studio apparso sul New England Journal of Medicine mostra dunque delle alternative promettenti per i pazienti, inclusi i  bambini e le donne incinte, perché impiega il delamanid, un farmaco simile, ma alternativo al pretomanid, che può essere utilizzato per il trattamento della malattia anche in queste persone”.  

Il trial clinico di fase 2

Sempre nell’ottica di incentivare lo sviluppo di nuovi regimi di trattamento contro la tubercolosi, è inoltre in corso Unite4TB, una partnership pubblico-privata che riunisce istituzioni accademiche, imprese di piccole e medie dimensioni, case farmaceutiche e organizzazioni pubbliche con l’obiettivo di avviare nuovi trial clinici di fase 2 (in cui si testa l’efficacia di un farmaco su un numero ristretto di pazienti) per nuovi regimi contro la malattia tubercolare. 

Verranno così selezionati quei regimi terapeutici che presentano un’elevata probabilità di successo nei successivi studi di fase 3, in cui si approfondisce l’efficacia del trattamento e se ne indica le modalità di somministrazione. 

Semplificare il trattamento della tubercolosi è un’azione indispensabile per raggiungere l’obiettivo fondamentale, ossia eliminare la malattia.