
Cardiochirurgia e trasfusioni: uno studio internazionale guidato dal San Raffaele ridisegna le strategie cliniche ed evidenzia un potenziale impatto su costi e risorse sanitarie
PUBBLICATO IL 12 GIUGNO 2025
Un ampio studio clinico randomizzato e internazionale, coordinato dall'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha messo in discussione l'efficacia di una tecnica finora considerata utile nel ridurre il ricorso a trasfusioni di sangue allogenico in pazienti adulti sottoposti a chirurgia cardiaca con bypass cardiopolmonare (CPB): l’emodiluizione normovolemica acuta, nota anche come ANH.
Questa procedura consiste nel prelevare, poco prima dell’intervento, una parte del sangue del paziente e sostituirla temporaneamente con soluzioni liquide (come salina o colloidi), in modo da mantenere costante il volume di sangue in circolo. L’idea alla base della tecnica è che, rendendo il sangue più “diluito”, le eventuali perdite durante l’intervento comportino una minore perdita effettiva di globuli rossi.
Ma i risultati della ricerca, pubblicati oggi sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine, evidenziano come l'ANH non diminuisca di fatto il numero di pazienti che necessitano di trasfusioni durante il ricovero ospedaliero e non influenzi significativamente il rischio di complicanze emorragiche o ischemiche.
Implicazioni sanitarie e gestionali: verso un uso più efficace delle risorse
Nel contesto attuale, in cui la sostenibilità del sistema sanitario è un tema cruciale, la riduzione delle trasfusioni non è solo una questione clinica, ma anche economica. Le trasfusioni comportano:
- costi elevati;
- rischi per i pazienti;
- dipendenza da una risorsa limitata come il sangue.
Per questo motivo, sono state sviluppate strategie per ridurre la necessità di trasfusioni, tra cui l'emodiluizione normovolemica acuta (ANH). Precedenti studi di dimensioni ridotte e metanalisi avevano suggerito un potenziale beneficio di questa tecnica non solo nella riduzione del numero delle trasfusioni, ma anche nella riduzione del rischio di sanguinamenti e complicanze emorragiche dopo l’operazione.
Nonostante le raccomandazioni presenti in alcune linee guida internazionali, mancava una robusta evidenza clinica proveniente da studi ampi e ben condotti sull'efficacia dell'ANH nella pratica cardiochirurgica contemporanea. Partendo da questa incertezza, il team che ha condotto la ricerca si è posto la seguente domanda: l'emodiluizione normovolemica acuta riduce il numero di pazienti, sottoposti a chirurgia cardiaca con bypass cardiopolmonare, che necessitano di almeno una trasfusione di sangue allogenico durante il ricovero ospedaliero?
Lo studio multicentrico
Lo studio sulla emodiluizione normovolemica acuta condotto dall’IRCCS Ospedale San Raffaele (il più grande mai condotto su questo tema) ha coinvolto 2.010 pazienti provenienti da 32 centri in 11 Paesi assegnati in modo casuale a ricevere o meno l’ANH durante la chirurgia cardiaca, subito prima del bypass cardiopolmonare. I risultati sono presentati dal professor Giovanni Landoni e dal dottor Fabrizio Monaco il 12 giugno a Belfast (Irlanda del Nord), in occasione del Critical Care Reviews Meeting 2025, la conferenza scientifica che mette in evidenza i migliori studi clinici perioperatori e di terapia intensiva al mondo.
I risultati hanno mostrato che non vi è stata alcuna differenza significativa nel numero di pazienti che hanno ricevuto almeno una trasfusione di sangue allogenico: il 27.3% nel gruppo ANH rispetto al 29.2% nel gruppo di controllo. Una differenza troppo piccola per essere considerata rilevante dal punto di vista clinico o statistico.
Inoltre, anche sul fronte della sicurezza non sono state riscontrate differenze significative tra i 2 gruppi per quanto riguarda la mortalità a 30 giorni, le complicanze ischemiche o i danni renali acuti.
Inoltre, l’ANH non è apparsa modificare il rischio di re-intervento chirurgico per sanguinamento. Infatti, nel gruppo trattato con ANH si è osservata un’incidenza del 3.9% di reinterventi chirurgici contro il 2.7% osservata nel gruppo di controllo.
I risultati
Grazie alle sue dimensioni e al disegno multicentrico e randomizzato, lo studio offre l’analisi più completa sull'efficacia della emodiluizione normovolemica acuta in cardiochirurgia. Contrariamente a quanto suggerito da precedenti studi di portata limitata, questo trial di grandi dimensioni non ha dimostrato un beneficio dell'ANH nella riduzione delle trasfusioni in cardiochirurgia.
I ricercatori del San Raffaele concludono che, tra i pazienti adulti sottoposti a chirurgia cardiaca con bypass cardiopolmonare, l'emodiluizione normovolemica acuta non riduce la necessità di trasfusioni di sangue allogenico e non sembra migliorare gli esiti clinici. Anzi, si è osservata una tendenza verso un aumento dei reinterventi per sanguinamento nel gruppo ANH.
“Questo studio multicentrico e randomizzato fornisce una risposta chiara sull'efficacia dell'emodiluizione normovolemica acuta in cardiochirurgia – dichiara il dottor Fabrizio Monaco, primo autore dello studio e responsabile delle sale operatorie Cardio-toraco-vascolari dell’IRCCS Ospedale San Raffaele –.
I nostri risultati suggeriscono che questa tecnica, ampiamente utilizzata, non riduce significativamente la necessità di trasfusioni di sangue allogenico e potrebbe persino essere associata a un aumento del rischio di reintervento per sanguinamento. È fondamentale che la pratica clinica si basi su evidenze solide come quelle che abbiamo ottenuto”.
Il professor Eric Rubin, Editor-in-Chief del New England Journal of Medicine, invitato dagli studenti di Medicina dell’Università Vita-Salute San Raffaele (UniSR) a discutere delle linee guida che portano la rivista scientifica a scegliere gli studi che possono impattare sulle pratiche cliniche, ha voluto sottolineare una volta di più l’importanza dello studio pubblicato sulla rivista che lui guida.
“Le ricerche che non mostrano differenze o producono risultati negativi - afferma Rubin - sono importanti quanto quelli con esiti positivi; esse, infatti, mettono in discussione pratiche consolidate, evitano l’uso non necessario di interventi inefficaci e, in ultima analisi, contribuiscono a una cura migliore e basata sull’evidenza”.
Ricerca di qualità al servizio della buona sanità
Lo studio dimostra il valore della ricerca clinica indipendente nel guidare decisioni sanitarie più efficienti, aiutando a superare pratiche non ottimizzate.
“I risultati della ricerca – continua il professor Giovanni Landoni, coordinatore dello studio, direttore del Centro di Ricerca Anestesia e Rianimazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario presso l’Università Vita-Salute San Raffaele - spostano quindi l’attenzione su altri aspetti che si dovranno tenere in considerazione nella gestione del malato sottoposto a intervento cardiochirurgico a rischio di trasfusioni perioperatorie, valutando di poter destinare risorse umane ed economiche ad altri specifici interventi che potrebbero essere di maggiore efficacia come:
- l’ulteriore miglioramento dell’emostasi chirurgica;
- l’utilizzo di test per valutare prontamente la coagulazione al letto del malato;
- la diminuzione delle soglie che portano a trasfondere i malati;
- il recupero, la purificazione e reinfusione del sangue perso durante l’intervento;
- l’ottimizzazione preoperatoria del paziente tramite somministrazione di supplementi nutrizionali e farmaci che possono aumentare i valori di emoglobina”.
Questo studio rappresenta un modello virtuoso di come la ricerca clinica possa non solo orientare la medicina verso trattamenti più sicuri ed efficaci, ma anche contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario, evitando interventi costosi e inutili.
Conclude il professor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità operativa di Anestesia e Rianimazione Generale, Cardio-Toraco-Vascolare e dell’Area unica di Terapia Intensiva Cardiologica e Cardiochirurgica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e ordinario di Anestesia e Rianimazione all’Università Vita-Salute San Raffaele: “Questo lavoro dimostra la capacità del nostro istituto di condurre studi clinici di elevata qualità che possono influenzare la pratica medica a livello internazionale.
I risultati ottenuti ci spingono a riconsiderare criticamente le strategie attuali e a concentrarci su approcci che abbiano dimostrato una reale efficacia nel migliorare gli esiti per i nostri pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca”.
La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute italiano (grant RF-2018-12366749).