Una nuova strategia terapeutica per le immunodeficienze da RAG1

PUBBLICATO IL 08 FEBBRAIO 2024

Sono positivi i primi risultati della strategia di editing genetico messa a punto dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano per le immunodeficienze primitive dovute a difetti nel gene RAG1: a descriverli sulle pagine della rivista Science Translational Medicine è il gruppo di ricerca guidato da Anna Villa, che è anche ricercatrice dell’unità milanese dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del CNR.

 

A cosa serve il gene RAG1 e cosa succede in caso di deficit

Il deficit di RAG1 fa parte delle immunodeficienze combinate gravi (SCID) e dipende da mutazioni in un gene molto importante per il corretto sviluppo del sistema immunitario

RAG1 è regolato in maniera molto fine, per cui deve essere “acceso” e produrre la proteina che codifica soltanto in un breve lasso di tempo durante la vita dei linfociti T e B. In condizioni normali, RAG1 contribuisce alla produzione di entrambi i tipi di globuli bianchi: se però non funziona, ecco che queste cellule non si formano, lasciando l’organismo privo di 2 componenti fondamentali per difenderci dalle infezioni.  

Chi nasce con un deficit di RAG1 presenta quindi fin dalla nascita un’immunodeficienza grave con

  • infezioni ricorrenti e potenzialmente fatali;
  • diarrea cronica;
  • eruzioni cutanee;
  • ritardo della crescita;
  • l’aspettativa di vita è limitata se non si interviene. 

Esistono poi dei casi in cui la proteina RAG1 non è del tutto assente, ma è in grado di promuovere soltanto la formazione di poche cellule: questo si traduce in un’attività sregolata del sistema immunitario, caratterizzata da autoimmunità e infiammazione cronica (sindrome di Omenn e SCID atipiche). 

 

Il trapianto di cellule staminali

L’unico intervento risolutivo è il trapianto di cellule staminali del sangue, a condizione che sia disponibile un donatore compatibile. Purtroppo, il tempo può essere tiranno rispetto all’efficacia del trapianto: pertanto è bene eseguirlo nei primi mesi di vita, infatti nei casi di diagnosi tardiva il danno a carico dei diversi organi può comprometterne il successo. 

In questo senso, lo screening neonatale per le SCID può fare la differenza per evitare esiti infausti. Tuttavia, al momento è incluso nel pannello nazionale di screening di USA e solo in alcuni paesi europei (come Danimarca, Germania, Norvegia, Islanda, Irlanda, Norvegia, Svizzera). In Italia solo alcune regioni o città hanno attivato progetti pilota o programmi dedicati (come in Toscana, Liguria, Padova, Palermo), ma resta ancora in attesa il suo inserimento nel nostro pannello nazionale. 

 

La ricerca di nuove strategie terapeutiche

Per questo, il gruppo guidato da Anna Villa è al lavoro da molti anni per mettere a punto strategie terapeutiche alternative per le SCID da RAG1, forti anche dell’esperienza maturata dall’intero istituto nell’ambito delle terapie avanzate mirate proprio a correggere le staminali del sangue. 

Come spiega Maria Carmina Castiello, prima autrice del lavoro e a sua volta ricercatrice CNR, “fin dal 2016 ci siamo concentrati sull’editing genetico, perché consente di correggere il difetto genico lasciando RAG1 nella sua sede naturale, mantenendone una regolazione fisiologica. 

La correzione è stata effettuata nelle cellule staminali ematopoietiche, in grado di generare tutte le linee del sistema immunitario compresi i linfociti T e B. 

L’approccio di editing genetico si aggiunge alle piattaforme di terapia genica basata sui vettori di origine virale, come è stato fatto con successo in altre patologie, quali, ad esempio, l’ADA-SCID o la sindrome di Wiskott-Aldrich”.

 

Le scoperte del nuovo studio

Negli anni il gruppo ha tentato diverse strategie, fino a individuare quella più promettente descritta in questo studio. Il sistema correttivo sfrutta l’ormai celebre CRISPR/Cas9, oggetto del premio Nobel 2020: un enzima in grado di tagliare il DNA, associato a una sequenza di RNA che fa da guida e consente di indirizzare il taglio nel punto desiderato, cioè dove c’è la mutazione patologica. 

Per introdurre il sistema di ‘taglia e cuci’ nelle cellule è stato usato il metodo dell’elettroporazione, che tramite brevi impulsi elettrici consente di aprire i pori sulla membrana delle cellule. Una volta effettuato il taglio, i ricercatori hanno fornito alla cellula la sequenza corretta con cui riparare il DNA, tramite vettori virali che non si inseriscono nel DNA cellulare, per evitare qualsiasi modifica indesiderata. 

Tutta la strategia di correzione è frutto di una lunga collaborazione con il gruppo del direttore dell’SR-Tiget Luigi Naldini, e in particolare con Samuele Ferrari e Daniele Canarutto.

Come spiega Anna Villa: “Con questa strategia siamo riusciti a correggere tra il 20% e il 30% delle cellule staminali bersaglio: una percentuale molto soddisfacente se consideriamo che, come è emerso in nostri studi condotti sul modello murino, basta correggerne il 5-10% per ottenere un effetto terapeutico. 

Il prossimo passo sarà perfezionare il sistema di correzione veicolando la sequenza corretta mediante un nuovo sistema di trasporto basato su nanoparticelle, analogo a quello impiegato nei vaccini anti-COVID. Il nostro obiettivo è riuscire a trasferire questo approccio terapeutico in clinica: potenzialmente potrebbe rivelarsi un’alternativa al trapianto, sia per ovviare alla mancanza di un donatore, ma anche per limitare i rischi legati al condizionamento chemioterapico”.

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